lunedì 6 giugno 2011

“LA PACE VIENE DA DENTRO E NON SI OTTIENE CON LE ARMI”


Intervista a J.E. e N. Liders della Comunitá di Pace di San José de Apartadó.



N. (32 anni) e J.E. (45 anni) hanno potuto finalmente conoscere la neve. Sono arrivati a Roma dopo un viaggio di oltre 42 ore: due ore a mezzo a cavallo, un'ora su una piccola jeep, 23 ore di autobus fino a Bogotá e 13 ore di aereo per arrivare a Roma, senza contare i tempi di attesa.

Il termometro segnava “zero gradi”, peró il giorno dopo al loro arrivo, ancora stanchi e senza essersi abituati al cambio di orario, erano lí, nell'oratorio della Chieda Escalabrini, per incontrare il gruppo 208 di Amnesty Internacional di Fidenza e Fiorenzuola. Circa 50 invitati, tra membri di Amnesty e simpatizzanti, hanno assistito all'incontro per ascoltare l'esperienza dei due liders della Comunitá di Pace di San José de Apartadó.

“Siamo stati in Europa anche in altre occasioni, peró mai in inverno” dice N. “Speriamo di poter sopportare questo freddo”.



Si tratta di un viaggio molto lungo, ne vale la pena?

N.: Per noi l'appoggio internazionale é tutto. In Colombia cerchiamo ogni mezzo affinché si rispetti la nostra vita, ma non otteniamo niente. Ci rivolgiamo alla giustizia, ma continuano le violazioni dei nostri diritti.
J.E.: Senza l'appoggio internazionale saremmo morti. Quando ci siamo resi conti che, dopo una grande quantitá di denunce a tutti gli enti della giustizia colombiana, non si trovava  nessuna soluzione e continuavano le uccisioni e le violazioni dei nostri diritti, abbiamo deciso di chiudere la comunicazione con lo stato colombiano e abbiamo cominciato a cercare l'appoggio internazionale”.

Com' é cambiato San José de Apartadó negli ultimi anni? Come ricordate che era questa zona quando eravate bambini?

J.E.: I miei genitori hanno vissuto la guerra tra i liberali e i conservatori nel 1948, dopo questo periodo ci fu la pace, mancava educazione peró c'erano tranquillitá e cibo per tutti.

Quando compare la guerriglia a San José de Apartadó?

J.E.: Nasce dopo la guerra del 1948. Molti abbandonarono le armi, peró altri non credettero al processo di pace di questo periodo e continuarono nella guerriglia. Da questo momento in poi si é mantenuta ed incrementata.



Quand'é che J.E. conosce la guerriglia?

J.E.: Ho conociuto la guerriglia verso i 20 anni. Soprattutto perché il numero dei guerriglieri cresceva: passavano per le zone rurali, parlavano con la gente del modo in cui dovevano vivere, di una vita solidale, nel rispetto della vita degli altri. All'inizio il loro discorso era positivo, peró c'era sempre una cotraddizione, perché se una persona possiede un' arma é per generare morte.
Chi possiede un' arma e parla di pace ha una grande contraddizione in sè stesso.

Com' é avvenuto l'arrivo dei paramilitari nella zona?

J.E.: Essi esistono dal 1962, come politica statale, anche se lo stato lo ha sempre negato. Hanno semplicemente cambiato nome, prima si chiamavano “difesa civile”, poi “autodifesa”. Nel 1997 cominciarono gli attacchi. Noi non abbiamo mai riconosciuto i paramilitari, molte organizzazioni internazionali ci dicono che dovremmo parlare con loro, peró ció vorrebbe dire legittimare ció che sta dietro a questi gruppi.


Quando avete iniziato a sentire la guerra?

J.E.: Sono tappe, la guerriglia inizió a farsi sentire a Urabá negli anni '86-'88, peró gia da prima vi erano repressioni armate dell'esercito. Nella zona de La Resbalosa ci fu un massacro da parte della forza pubblica: assassinarono 12 o 13 contadini, in un posto dove realmente non c'erano guerriglieri.

Com' é stata la presenza dello stato in questa zona?

J.E.: É stata di repressione armata, ancora prima che esistesse la guerriglia. Successivamente arrivarono i guerriglieri, e dopo i paramilitari.

In che momento avete deciso di creare una Comunitá di Pace?

J.E.: Ufficialmente il 23 di marzo del 1997, peró giá dal 1996 si stava lavorando a questa proposta. Tuttavia, invece che ottenere la pace, si incrementó la guerra. Quella stessa settimana subimmo diversi bombardamenti e ci trovammo obbligati a doverci spostare in un'altra zona.

I militari e i paramilitari non hanno mai voluto accettare questo tipo di neutralitá. Loro intendono per “neutralitá” solamente il fatto di tagliare i contatti con la guerriglia. Non hanno mai permesso che una Comunitá decidesse di non partecipare alla guerra, di negare il passaggio di informazioni e la vendita di cibo agli attori armati, di impedire l'accesso delle armi nel nostro territorio di pace. Per questo hanno deciso che avrebbero distrutto tutto.

Voi siete semplici e umili contadini, chi vi guidó in questa decisione?

J.E.: É una decisione che viene dalla stessa Comunitá perché eravamo stanchi di tanta guerra. Noi siamo persone umili, peró pensiamo. Io non ho studiato in un' universitá, peró non sono un bruto. Molte persone pensano che i contadini non sappiano pensare, peró io conosco la mia Comunitá, la mia gente, la mia storia e i libri sono stati scritti dalle persone. All'inizio chiedemmo aiuto alla Croce Rossa internazionale affinché facesse da mediatrice, peró loro sono mediatori delle due parti in conflitto e noi siamo la popolazione civile. Cosí, in un primo momento, la chiesa Cattolica ci guidó in questo cammino.


Com' é la vita all' interno delle Comunitá di Pace? Come siete organizzati?

N.: Abbiamo piú di 50 gruppi di lavoro in diverse aree. Le persone si riuniscono per famiglia e non si aiuta soltanto una persona, ma si tiene conto delle necessitá dell'intero nucleo familiare. É molto importante il ruolo della donna all'interno delle Comunitá, perché hanno il compito di curare i bambini.
Abbiamo un asilo dove accudiamo diversi bambini, perché molte madri sono morte durante il conflitto, e molte altre hanno dovuto cominciare a lavorare, perché i loro mariti sono stati uccisi. Abbiamo una scuola con 12 maestri.
Insegnamo ai bambini le nostre cose, la nostra cultura e la nostra storia. La stessa Comunitá si occupa dell'alimentazione dei bambini e una parte di tutto ció che si produce viene destinata all'asilo e alla scuola.

In Colombia, com' é vista la Comunitá di Pace?

J.E.: La gente in Colombia crede che siamo dei guerriglieri. L'esercito fa in modo che l'opinione pubblica nazionale ed internazionale pensi che la Comunitá di Pace di San José de Apartadó sia una comunitá al servizio della guerriglia e che, per proteggere la guerriglia, si mascheri da Comunitá di Pace.

Ci sono speranze che i colpevoli di tutto questo siano castigati?

J.E.: Non c'é giustizia per i crimini contro l'umanitá. Noi abbiamo denunciato e denunciamo tutto ció che é accaduto e che accade, peró fino ad ora non c'é mai stato nessun colpevole.

Cosa si aspettano da Amnesty Internacional? Cosa possiamo fare?

J.E.: Che non si stanchino di scrivere. Anche se puó sembrare assurdo, le lettere e l'appoggio internazionale sono ció che ci mantiene in vita.

Come si puó appoggiare la Comunitá di Pace?

J.E.: L'umanitá deve capire che ha sbagliato, perché la pace viene dall'interno di ogni persona e non si puó ottenere con le armi. Non c'é bisogno che la gente venga a San José de Apartadó per appoggiarci. Un grande appoggio é che le persone cambino e continuino questo cammino di Pace.

Cosa chiedete al governo colombiano?

J.E.: Non gli chiediamo nulla. Sempliciemente che ci lascino vivere in Pace.




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