martedì 29 luglio 2014

Azione urgente di Amnesty International

Il 21 di luglio 2014 un membro delle forze armate colombiane, conoscente di un abitante della Comunità, gli ha detto testualmente: ”per questa Comunità è giunta l'ora , stiamo organizzando coi paramilitari il suo sterminio”. Alcuni giorni prima, il 19 luglio, è comparso su un quotidiano locale, un articolo con la dichiarazione del nuovo comandante della XVII brigata, quella che opera nella zona , in cui si afferma che la brigata realizzerà “un lavoro speciale nella Comunità, per recuperare lo spazio perduto”. Ovviamente la Comunità considera queste frasi come una minaccia di sterminio.

Amnesty International ha diramato una nuova azione urgente indirizzata alle autorità colombiane per denunciare queste nuove minacce nei confronti della Comunità di Pace.
L'azione termina a fine Agosto!

domenica 23 febbraio 2014

Colombia cronaca di una morte annunciata



Luis Eduardo Guerra era uno dei leader di San José de Apartadó, una «Comunità di pace». Il 21 febbraio è stato massacrato insieme ad altre 8 persone. Dall'esercito.
Guido Piccoli
Fonte: Il Manifesto
20 marzo 2005

«Che senso hanno, signori, tante riunioni e tanti eventi mentre ci stanno ammazzando? Che senso hanno gli hotel di lusso, gli esperti delle Ong e tanti intellettuali, che senso ha tutto ciò per noi che abbiamo così bisogno che ci aiutiate a non morire» (dal discorso di Luis Eduardo Guerra al Foro Sociale delle Americhe svoltosi a Quito, nel luglio 2004)
Gli dicono che lo stanno cercando, lo scongiurano di nascondersi. La mattina del 21 febbraio scorso, Luis Eduardo Guerra decide di non sfuggire alla violenza, che l'ha accompagnato fin dalla nascita, trentacinque anni fa. Non vuole abbandonare la sua nuova compagna Bellanira e Deiner, il figlio undicenne che zoppica dall'esplosione, nell'agosto scorso, di una granata abbandonata dall'esercito. E' uno dei leader più riconosciuti di San José de Apartadò. Forse si sente protetto dalla solidarietà ricevuta negli Stati uniti e in vari paesi europei, tra cui l'Italia dagli amici di Narni e degli altri gruppi che formano la Rete di solidarietà con la Comunità di pace. O forse non immagina che vogliano ammazzarlo. Si sbaglia. Luis Eduardo, Bellanira e Deiner vengono intercettati vicino al rio Mulatos, portati sul greto del fiume e squartati con i machete fino ad essere decapitati. Poco lontano un altro gruppo entra sparando nella casa di Alfonso Bolivar, membro della Comunità di pace del suo villaggio. L'uomo riesce a scappare. Scappa anche un contadino di nome Alejandro che sta percorrendo un sentiero vicino: una pallottola lo ferisce alla schiena, viene raggiunto e finito. Alfonso potrebbe salvarsi, ma quando sente le urla della moglie Sandra Milena, che chiede pietà per i suoi figli, torna indietro a morire con la sua famiglia. I machete infieriscono sul suo corpo e quello di Sandra. Nessuna pietà neppure per Natalia di quattro anni e per Santiago di solo 18 mesi. I due massacri hanno dei testimoni, il fratellastro di Luis Eduardo e un vicino di Alfonso.
La risposta dell'esercito
Sono loro che raccontano una verità spaventosa: stavolta i carnefici non sono i tagliateste delle Autodefensas Unidas, i principali protagonisti da vent'anni della macelleria colombiana, ma i militari del 33° battaglione di controguerriglia dell'esercito. Da quattro giorni l'intera regione è sorvolata da elicotteri ed aerei bombardieri e invasa dai reparti della 17° brigata di stanza nella base di Carepa. E' la risposta all'imboscata nella valle della Llorona di una settimana prima del V° fronte delle Farc, costata la vita a sedici soldati. Com'è successo tante altre volte, sono i civili indifesi a fare da vittime sacrificali delle rappresaglie.
Da quando, nel 1997, gli sfollati di San José de Apartadò si sono proclamati Comunità di pace, rifiutandosi di collaborare con tutti i protagonisti della guerra, compreso l'esercito, molti generali li considerano alla stregua dei ribelli. Lo stesso presidente Alvaro Uribe, nel corso di un vertice tenuto nel maggio scorso nella vicina Apartadò, sostenne che San José fosse in realtà un «corridoio» usato dalle Farc. Noncurante delle sentenze della Commissione interamericana dei diritti umani e della stessa corte costituzionale colombiana che hanno, in più occasioni, ingiunto allo stato colombiano di «offrire una protezione speciale» alla Comunità di San José, in quell'occasione, Uribe invitò la polizia ad arrestare, se necessario, i suoi dirigenti e a deportare i volontari che li proteggono, prima di tutti quelli delle Peace Brigades.
Quando a San José si viene a sapere del massacro, partono gli inviti a bloccare la carneficina, gli appelli alle organizzazioni umanitarie in Colombia e nel mondo. Per recuperare i corpi delle vittime viene organizzata una spedizione di quasi duecento persone, accompagnata da sacerdoti, cooperanti internazionali e l'ex sindaca di Apartadò, Gloria Cuartas. La comitiva si dirige a Mulatos, nella fattoria di Alfonso, affollata di vicini che aspettano l'arrivo dei funzionari giudiziari. E' il 25 febbraio. Il giorno dopo ci si fa guidare dai cerchi concentrici degli avvoltoi, per scoprire i cadaveri straziati di Luis Eduardo e dei suoi. All'orrore si aggiunge la rabbia. In zona vagano ancora reparti dei soldati. A differenza di altre volte, il loro atteggiamento è sfrontato. C'è chi, ironizzando sul fetore che satura la zona, sostiene che ci sia «puzza di guerrigliero morto». Qualcun altro accusa il gruppo di essere arrivato fino a lì dietro ordine delle Farc. Vengono prese foto e rivolte minacce ai contadini. Un soldato brandisce come un trofeo un machete trovato sul greto del fiume e, nonostante le proteste, lo pulisce con la sabbia cancellando le tracce di sangue. Più che un'ammissione di colpa, l'atteggiamento dei militari equivale ad una rivendicazione.
Di diverso tono sono ovviamente le risposte che le autorità danno pubblicamente a Gloria Cuartas, agli avvocati della Corporación Jurídica Libertad e al padre gesuita Javier Giraldo che denunciano la responsabilità della XVII° brigata nel massacro: mentre il comandante dell'esercito, Reinaldo Castellanos, definisce queste accuse «temerarie», il ministro della difesa, Jorge Alberto Uribe assicura una certa «tranquillità della forza pubblica, visto la sua estraneità al crimine». Da tutto il mondo piovono proteste indignate contro il governo Uribe che, come minimo, non ha fatto nulla per difendere la Comunità di San José. Oltre all'Onu e l'Organizzazione degli stati americani, gli scrive una dura lettera anche il sindaco di Roma, Walter Veltroni. Da parte del governo di Bogotà inizia l'abituale fuoco di sbarramento, orchestrato dal vice-presidente Francisco Santos, ormai esercitato a recitare, nello staff di Uribe, i ruoli più patetici. Salta fuori il solito guerrigliero pentito, lasciato ovviamente anonimo, che racconta che Luis Eduardo sarebbe stato ammazzato dalle Farc per non avere più voluto che San José continuasse ad essere usato dai ribelli «come luogo di riposo e vacanza». L'assurda tesi viene fatta propria dai mezzi di comunicazione. Il 2 marzo arriva in zona una commissione giudiziaria, che si scontra però con un muro di silenzio: nessuno vuole parlare con i giudici. Neppure Gloria Cuartas che ricorda che «tutte le testimonianze rese negli ultimi otto anni sulle violazioni dei diritti umani sono servite soltanto a criminalizzare le vittime e non i carnefici».
Ancora più dall'insediamento di Uribe, parlare di giustizia, in Colombia è un eufemismo. Sottoposta a minacce e ripulita da quasi tutti gli elementi onesti, la magistratura ha sempre assecondato il sodalizio tra i vertici dell'esercito, comandato negli anni scorsi nella regione di Urabà dal generale Rito Alejo Del Río, detto «El Pacificador» (al quale persino gli Usa avevano negato il visto d'ingresso per avere costituito gruppi paramilitari) e il nucleo centrale delle Auc, a capo dei quali c'erano Carlos Castaño e Salvatore Mancuso. Oltre ad intimidire i testi o ad accumulare inutilmente le loro denunce, i giudici hanno lasciato spesso filtrare le loro generalità, segnalandoli ai killer statali e parastatali.
Un massacro impunito
Dei duemila abitanti di San José, dal 1997 ne sono stati ammazzati 165, una ventina dalle Farc e dell'Eln e il resto da militari e paras. Non a caso, nel centro del villaggio, cresce a dismisura un monumento di mattoni con i nomi delle vittime e, dietro le fila delle baracche, il cimitero. Non solo tutti gli omicidi sono rimasti impuniti: come ricorda padre Javier Giraldo «in molti hanno pagato con la morte la fiducia nella giustizia». Per questo, la Comunità ha deciso di rendere testimonianza del massacro solo alla Commissione interamericana dei diritti umani, riunita il 14 marzo in Costarica. I giudici della Fiscalia lasciano a mani vuote San José. Sulla strada del ritorno sono attaccati a colpi di mortai e lanciarazzi, che uccidono un poliziotto di scorta e ne feriscono altri tre. L'agguato, che governo, esercito e giudici attribuiscono alle Farc, corrobora per i giornali la colpevolezza dei ribelli nell'uccisione di Luis Eduardo e degli altri 8. Da Bogotà Uribe tuona che «non può esserci un solo centimetro del territorio nazionale vietato alla forza pubblica». Considerando la «neutralità» una forma di complicità con la guerriglia, il ministro della difesa annuncia che verrà al più presto sanata l'anomalia di San José e delle altre comunità di pace esistenti, per lo più lungo la costa del Pacifico. Quando, il giorno dopo, l'esercito entra nelle stradine del villaggio, i suoi abitanti minacciano un nuovo esodo, rifiutandosi di «convivere con i loro assassini». E fanno un appello a tutte le voci libere del mondo perché si uniscano nel richiedere il rispetto per la popolazione civile.
Il braccio di ferro tra i contadini di San José e lo Stato colombiano chiede di schierarsi. Impresa non facile, ad esempio, per la chiesa. Per un padre Giraldo che rischia ogni giorno di trovare un sicario sulla sua strada, c'è il vescovo della vicina Apartadò che, in questi giorni, ci tiene a sottolineare il suo «accompagnamento solo pastorale» alla comunità ribelle. Ma l'ultima strage impone anche a Bruxelles e alle diplomazie europee presenti a Bogotà d'intervenire. Per salvare altri innocenti e per valutare che non sia il caso di sistemare nella lista dei «terroristi» colombiani anche gli squartatori e i loro rispettabili mandanti e conniventi.



E qui un altro link interessante:
http://radiomacondo.fm/2014/02/22/9-anos-de-la-masacre-en-san-jose-de-apartado/

21 Febbraio: anniversario dell'uccisione di Eduardo Guerra

Il 21 febbraio 2005 la 17ma brigata dell'esercito colombiano uccideva a colpi di machete uno dei leaders della Comunità di Pace insieme alla sua famiglia, si chiamava Eduardo Guerra. Qui sotto   il resoconto  di allora. 
Eduardo è nei cuori di tutta la comunità e  ci spiace che ancora non si sia riusciti a conferire la cittadinanza onoraria a un altro leader, questo ancora vivente, nonostante 4 attentati, cioè Jesus Emilio.  

lunedì 17 febbraio 2014

Elezioni parlamentari in Colombia, minacce di morte ai candidati

Il 2014 è un anno di grande importanza per l’America Latina: in sette paesi su 19 si terranno elezioni. Tra questi la Colombia, col doppio appuntamento delle parlamentari del 9 marzo e delle presidenziali del 25 maggio.

Leggi l'articolo:
http://lepersoneeladignita.corriere.it/2014/02/18/elezioni-parlamentari-in-colombia-minacce-di-morte-ai-candidati/ 

domenica 16 febbraio 2014

Una nuova azione urgente di Amnesty


E' da poco stata diramata una nuova azione urgente di Amnesty International indirizzata alle autorità colombiane per denunciare nuove minacce nei confronti della Comunità di Pace
Ecco qui di seguito la traduzione in italiano!

Il 5 febbraio un ordigno esplosivo è esploso vicino alla stazione di polizia nella zona urbana di San José de Apartadó , dipartimento di Antioquia , nord-ovest della Colombia . L'esplosione dell'ordigno , che secondo quanto riferito era stato piazzato dalle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia ( (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia, FARC ), è stata avvertita negli edifici vicini , causando danni a una casa appartenente alla Comunità di Pace di San José de Apartadó . Le lezioni sono state sospese in una scuola vicina a causa degli effetti dell'esplosione.
Lo stesso giorno , i soldati del XVII Brigata dell'esercito colombiano hanno detto ai contadini: "quello che è successo qui sarà pagato a caro prezzo dagli abitanti di San José attraverso azioni paramilitari in Apartadó e in Tierra Amarilla , nessuno dovrebbe dimenticare che lavoriamo insieme" ( lo sucedido aquí lo pagarán caro los Pobladores HP de San José a través de acciones de los paramilitares en Apartadó y en Tierra Amarilla , que un nadie se le olvide que nosotros trabajamos Juntos ) .
Lo stesso gruppo di soldati ha anche detto a un membro della Comunità di Pace che l'avrebbero fatta finita con ( parola usata "acabar") la Comunità di Pace . L'8 febbraio Wber Areiza , membro della Comunità di Pace , è stato temporaneamente arrestato due volte da soldati della Brigata XVII . Da allora è stato rilasciato. Ci sono state ripetute segnalazioni di presenza di paramilitari nella zona , nonostante la presenza delle forze armate .

Amnesty International invita a scrivere alle autorità colombiane:
1 . Esprimendo preoccupazione per la sicurezza dei membri della Comunità di Pace di San José de Apartadó e altri civili che vivono nella zona ;
2 . Esortando le autorità a eseguire indagini complete e imparziali sull'esplosione, sulle minacce fatte da membri dell'esercito e da paramilitari e sulla presenza dei paramilitari , e di pubblicare i risultati e portare i responsabili alla giustizia ;
3 . Ricordando che i civili, tra cui la Comunità di Pace di San José de Apartadó e altri civili che vivono nella zona , hanno il diritto di non essere coinvolti nel conflitto armato ;
4 . Esortando le autorità a prendere misure immediate per smantellare i gruppi paramilitari e rompere i loro legami con le forze di sicurezza , in linea con gli impegni presi dal governo e le raccomandazioni formulate dalle Nazioni Unite e da altre organizzazioni intergovernative .



martedì 11 febbraio 2014

No estan solos

Dopo più di 24 ore di preoccupazione e di ansia finalmente abbiamo potuto ricollegarci al sito della Comunità di Pace di San Josè Apartadò, comunità che da più di 5 anni abbiamo " in adozione"; finalmente tiriamo un respiro di sollievo. 

Ma, da ieri sera, sono state ore molto tormentate: prima il nostro sito facebook oscurato, successivamente quello della Comunità, la nostra ansia aumentava continuamente, pensavamo alla Comunità, che aveva appena subito il sequestro di un suo membro , ad un possibile aumento di violenza, alla preparazione di un altro eccidio ora che erano stati quasi tagliati fuori dal mondo.. un continuo scambio di mail, di telefonate.. invano.. non si avevano notizie e la paura aumentava.

Finalmente stasera da Operazione Colomba, l'associazione non violenta presente a S. Josè abbiamo avuto le prime notizie, la vita " sigue siendo" , sono a conoscenza dell'oscuramento del sito , dovuto , forse, ad uno spionaggio telematico, ovviamente illegale, da parte dell'esercito, Amnesty International , molto velocemente, ha emesso un'azione urgente, che certamente faremo, abbiamo scritto una mail alla Comunità.. ora aspettiamo che ci rispondano.

Certo non c'è da rallegrarsi, la Comunità è sempre in pericolo, minacciata dalle 2 parti in conflitto, nonostante abbia scelto la non violenza attiva, ora, più che mai, occorre far sapere a quante più persone possibile cosa succede a questi nostri amici, che ogno giorno, con le loro scelte e la loro quotidianità, ci insegnano che la pace è la più grande ricchezza e battersi per essa, anche se è difficile e rischioso, è l'unico modo degno di vivere.


In questa foto, che ritrae noi, gruppo 208 AI e che abbiamo inviato alla Comunità, si vede un grande striscione con la scritta " No estan solos" , con l'aiuto di chi vorrà, dobbiamo continuare a metterlo in pratica.


Ci contiamo
Gr 208 AI Fidenza Fiorenzuola

martedì 14 gennaio 2014

L' Anno inizia con nuove aggressioni.


La calma apparente nel periodo di Natale è finita molto rapidamente per la nostra comunità di Pace di San Josè di Apartadò. Le istituzioni statali stanno violando la nostra privasy,gli attori armati continuano ad essere presenti nel nostro territorio sparando con le loro armi e seminando terrore.

Militari e paramilitari sono tornati al periodo in cui la criminalità era più forte nella loro azione, non più solo per annunciare massacri e aggressioni, ma ribadendo i loro posti di blocco illegali sulla strada cercando i nostri leader per sterminarli.

Tutto questo in assoluta mancanza di protezione, in cui lo stato si rifiuta di controllare i suoi agenti diretti e diretti nelle loro pratiche criminali.

Per questo motivo, ancora una volta, facciamo conoscere al paese e al mondo le ultime aggressioni:

MARTIDI 31 DICEMBRE 2014,verso le ore 11.00 i funzionari del difensore civico per i diritti umani (Defensoria del Pueblo) sono entrati nel nostro insediamento privato senza autorizzazione, ignorando cosi le recinzioni a i cartelli che delimitano il nostro territorio.

Essi si sono giustificati dicendo che l'hanno fatto perchè credevano che dopo la richiesta di perdono fatta dal presidente Santos alla nostra comunità di Pace, non vi era più alcuna limitazione o restrizione del dialogo e della relazione tra la comunità e le istituzioni, ignorando cosi la privasy dei nostri spazi.

SABATO 5 E DOMENICA 6 GENNAIO 2014 detonazioni di manufatti esplosivi si sono sentiti nelle zone rurali di Mulatos e La Resbalosa. Si teme che ci possano essere morti o feriti come conseguenza di queste esplosioni.

MARTEDI 7 GENNAIO 2014, verso le 18:30, un combattimento intenso si è verificato nella zona conosciuta come La Antena nel comune di San Josè provocando il terrore nella popolazione civile della zona.

MERCOLEDI 8 GENNAIO 2014 verso le ore14:15, nel luogo noto come Tierra Amarilla, lungo la strada che collega Apartadò e San Josè de Apartadò, tre paramilitari armati in abiti civili hanno bloccato un pulmino diretto a San Josè.
Hanno chiesto se a bordo vi era German Gracioso Posso, Legale Rappresentante della Comunità di Pace.
Ma German fortunatamente solo all'ultimo momento aveva deciso di non prendere quel pulmino.
- Vale la pena ricordare che lo stesso giorno nelle ore mattutine, la polizia aveva installato un posto di blocco a pochi minuti di distanza de Tierra Amarilla.-
I paramilitari quando hanno capito che German non era presente in quel veicolo prima di andare via hanno minacciato tutti che se volevano continuare a vivere non dovevano dire nulla sull'accaduto.
Tutto lascia pensare che i loro obiettivi sono quelli di assassinare o sequestrare i nostri rappresentanti legali.

Il luogo,dove erano in attesa  German, è il luogo dove la presenza del paramilitarismo negli ultimi anni è stata intensa e i loro posti di blocco in questo stesso luogo hanno portato alla morte o sparizione forzata numerosi membri della nostra comunità di Pace.

Informiamo, con la presente, il paese e il mondo di questi fatti. Ancora una volta ringraziamo le numerose comunità e gruppi di Colombia e in molti altri paesi che hanno messo in discussione e criticato le autorità colombiane per la loro complicità in questi crimini e hanno condannato con forza le pratiche che sono assolutamente contrari al rispetto dei diritti di tutti gli esseri umani.
Ancora una volta condanniamo, dalla nostra impotenza, la criminalità ostinata dello Stato che ci governa.

Comunidad de paz de San Josè de Apartadò 

13 gennaio 2014

sabato 4 gennaio 2014

il Presidente della Repubblica, Juan Manuel Santos Calderón, ha chiesto perdono alla nostra Comunità di Pace



COMUNICATO 
DELLA
Comunidad de Paz de San josé de Apartadó


Il Presidente ci ha chiesto perdono

16 dicembre 2013

 Lo scorso 10 dicembre nell’ambito di una cerimonia al Palacio de Nariño per lanciare la Propuesta Política Integral de Derechos Humanos, il Presidente della Repubblica, Juan Manuel Santos Calderón, ha chiesto perdono alla nostra Comunità di Pace in questi termini:

“Da alcuni anni, dalla prima autorità della Nazione, sono state fatte accuse ingiuste alla Comunità di Pace di San José de Apartadó rispetto alle quali la Corte Costituzionale ha ordinato alla Stato, nella persona del suo Presidente, che fossero ritrattate. Oggi desidero, in questa giornata di celebrazione dei diritti umani, davanti al paese e al mondo, portare a termine questa smentita. E lo faccio con una ferma convinzione di democratico, con tutto il significato che comporta questa ritrattazione in termini di giustizia morale per una comunità che ha scommesso su un presente e un futuro di pace. Noi ritrattiamo come Stato e come Stato manifestiamo l’impegno irrinunciabile per il rispetto e la protezione dei Diritti Umani così come il nostro rispetto agli organi giudiziari che tutelano questi diritti. Riconosco nella Comunità di Pace di San José de Apartadó una coraggiosa rivendicazione dei diritti dei colombiani, poiché nonostante abbia sofferto il conflitto sulla propria pelle ha perseverato nel suo proposito di raggiungere la pace per il Paese. Non siamo d’accordo con frasi o atteggiamenti di stigmatizzazione nei confronti di coloro che cercano la pace e rifiutano la violenza ed anzi consideriamo che tutti i difensori della pace e dei diritti umani devono essere elogiati e protetti. PER QUESTO CHIEDIAMO PERDONO, CHIEDO PERDONO”.

Con questo gesto il Presidente ha voluto adempiere in maniera estemporanea all’ordine emanato dalla Corte Costituzionale nell’ Auto n. 164 del 6 luglio 2012[1] nel quale si stabilisce al primo punto risolutivo, ordinare al Ministro dell’Interno che “nel termine massimo di un mese contato a partire dalla comunicazione del presente Auto, coordini e metta in atto il procedimento per la presentazione ufficiale della ritrattazione di fronte alle accuse formulate contro la Comunità di Pace e i suoi accompagnanti, e la definizione di un procedimento per evitare future segnalazioni contro la stessa, come la definizione di un canale unico di comunicazione che riduca i rischi di segnalamento e incoraggi la ricostruzione della fiducia”.

La nostra Comunità di Pace considera positivamente i termini del gesto presidenziale e pensa che con questo si dà compimento a una parte dell’ordine n.1 dell’Auto 164/12 della Corte Costituzionale.

Anche se consideriamo sia positivo che il Presidente Santos abbia riconosciuto l’ingiustizia commessa e che tenti di risarcirla con parole che invitano il Paese e il mondo a rettificare una stigmatizzazione durata 9 anni - che ha giustificato oltre duemila crimini di lesa umanità con i quali hanno cercato di distruggerci -, resta in sospeso l’adempimento della seconda parte dell’ordine emesso dalla Corte Costituzionale che consiste nella “definizione di un procedimento per evitare future segnalazioni contro la stessa, come ad esempio la definizione di un canale unico di comunicazione che riduca i rischi di segnalamento e incoraggi la ricostruzione della fiducia”.

La nostra Comunità è profondamente dispiaciuta di non essere stata contattata in nessun momento dall’ufficio della Presidenza; di non essere stata previamente avvisata del suo proposito di ritrattazione – fatto di cui siamo venuti a conoscenza posteriormente attraverso la stampa – e di non aver valutato in modo concreto e reale le dimensioni e le conseguenze delle calunnie presidenziali in questi nove anni. Da quando è cominciato il mandato del Presidente Santos, la nostra Comunità ha protocollato al suo ufficio 12 diritti di petizione (derechos de petición), contenenti i fatti di barbarie a cui siamo stati e continuiamo ad essere sottomessi da parte dei suoi subordinati. Il Presidente non ha mai fornito alcuna risposta; il suo ufficio si è di fatto limitato a sottoporre i documenti ai nostri stessi carnefici, che in maniera persistente e contumace negano e affermano di non conoscere ciò che abbiamo sofferto sulla nostra pelle da parte delle loro mani criminali. Speriamo che il Signor Presidente decida di conoscere e valutare direttamente il processo sistematico di sterminio che militari e paramilitari in unità d’azione cercano di perpetrare contro di noi. La nostra esperienza di 16 anni passati a seppellire morti, affrontando montature giudiziarie della più alta e raffinata perversità; riparando senza alcun aiuto dello Stato le distruzioni provocate da saccheggi, incendi e distruzioni di case, coltivazioni e beni primari di sussistenza; prendendoci cura delle persone torturate e minacciate, vittime di bombardamenti indiscriminati e di scontri bellici realizzati ostinatamente in mezzo alla popolazione civile contro tutte le prescrizioni della Corte Costituzionale; cercando di evitare con diverse strategie gli avvelenamenti delle nostre fonti d’acqua, lo stupro delle nostre donne, giovani, bambini e perfino animali; le appropriazioni illegali e le incursioni congiunte di militari e paramilitari che mirano soltanto a seminare terrore, a impedire l’esercizio dei diritti civili e politici e a cercare un asservimento dei civili ai loro piani di controllo territoriale militare/paramilitare insieme, a beneficio di imprese con fini inconfessabili; protestando e denunciando lo spaventoso marciume dei poteri giudiziari e disciplinari della zona, che calpesta ogni norma legale e lascia nell’impunità assoluta tutti i crimini… tutta questa sofferenza ci impone con forza l’interrogativo se sia possibile fermare questa barbarie senza prendere una sola misura di correzione e sanzione nei confronti del personale militare e poliziesco che ha controllato la zona durante almeno gli ultimi tre lustri, in stretto coordinamento con strutture paramilitari terribilmente criminali. Perciò ci chiediamo con angoscia: sarà che le sole parole di perdono fermeranno il sistematico crimine contro l’umanità, definito nello Statuto di Roma come PERSECUZIONE, senza prevedere misure reali ed efficaci che chiariscano, correggano, sanzionino e riparino? La nostra Comunità continua ad aspettare almeno quello che la Corte Costituzionale nella sua saggezza ha definito come un procedimento per evitare futuri segnalamenti contro la nostra comunità e un canale unico di comunicazione che riduca i rischi di segnalamento.

Continuiamo anche ad aspettare il compimento delle altre 4 ordinanze impartite dalla Corte Costituzionale nell’Auto 164/12, che non sono state rispettate nei termini stabiliti dalla Corte, restando in attesa di nuove misure: 

- L’istituzione di una Commissione di Valutazione della Giustizia;

- L’istituzione di un progetto di prevenzione e protezione collettivo di vita, integrità, sicurezza e libertà della Comunità di Pace, così come l’adozione di un meccanismo di protezione che non aumenti il rischio per i suoi membri e accompagnanti;

- L’istituzione di un procedimento limpido e trasparente per gestire i reclami e le denunce della comunità di pace, mentre si arrivi a risultati efficaci nella Commissione di Valutazione della Giustizia e si possa istituire nella zona una Casa di Giustizia;

- L’istituzione di un procedimento di revisione e applicazione dei principi del diritto internazionale umanitario che rispetti insieme il dovere costituzionale della forza pubblica e i diritti della Comunità di Pace, alla luce del meccanismo adottato congiuntamente dalla forza pubblica e dalle comunità di pace nel 1998, che escludeva la presenza della forza pubblica nelle zone umanitarie se non per evitare problemi puntuali di ordine pubblico secondo la concezione delle comunità o delle case di giustizia.

Deploriamo profondamente che le decisioni e omissioni del Signor Presidente continuino senza una visibile comprensione del fatto che la nostra Comunità di Pace continua a soffrire un processo di sterminio e violazione dei suoi diritti fondamentali da parte dei suoi diretti subordinati e che, se non prende decisioni drastiche nei confronti di tutto ciò, continuerà a incorrere nella responsabilità di comando sugli esecutori dei crimini contro l’umanità, disattendendo norme concrete della Costituzione Nazionale e dei Trattati Internazionali sui Diritti Umani.

Esempio chiarissimo di tutto ciò è il suo negarsi ad esigere dal Ministro della Difesa l'osservanza della Sentenza 1025/07, malgrado le nostre ormai numerose petizioni affinché impartisca ordini precisi perché venga rispettata. Non concepiamo come l'ostinazione del Ministro della Difesa nel perpetuare in questo oltraggio, non abbia indotto il Presidente a destituire un funzionario che non rispetta la Costituzione e la Legge, e perché continui tollerando l'oltraggio in flagrante violazione della Costituzione Nazionale.

Un altro esempio di tutto ciò è quello di rifiutarsi di ordinare all'Esercito la restituzione alla sua famiglia e alla sua comunità del giovane BUENAVENTURA HOYOS HERNÁNDEZ, fatto sparire forzatamente il 31 agosto scorso nella frazione La Hoz di San José de Apartadó da un gruppo di paramilitari che attuano in stretta collaborazione con le truppe del Batallón Vélez della Brigada XVII dell'Esercito, lo stesso Battaglione che commise l'orrendo massacro del 21 febbraio 2005. Il ripugnante cinismo con cui il Governo risponde agli organismi intergovernativi che gli chiedono di consegnare il giovane scomparso, affermando che lo stanno cercando negli ospedali e ai capolinea dei trasporti, mentre sanno fin troppo bene che truppe congiunte di militari e paramilitari lo hanno sottratto a ogni protezione giuridica dei suoi diritti e lo hanno sommerso in un'assoluta indefinitezza esistenziale. Questo è un caso in più che ci porta a chiederci fino a che punto le parole – incluse quelle che hanno chiesto il Perdono – possano invece servire da copertura alle barbarie e legittimare gli Stati che hanno perfino sottoscritto accordi internazionali come la Convención Interamericana contra la Desaparición Forzata de Personas, cancellando con i fatti quello che si sottoscrive solennemente nei forum delle nazioni.

Il persistere inclemente della PERSECUZIONE ci obbliga ad aggiungere a questo comunicato l'elenco degli ultimi FATTI che abbiamo sofferto:

· Venerdì 6 dicembre 2013, verso le 14.30, nella fazione Miramar si è sentita l’esplosione di una bomba, cosa che ha gettato nel panico la popolazione del luogo. Ci siamo immediatamente ricordati di FRANCISCO PUERTAS, coordinatore di questa Zona Umanitaria della nostra Comunità di Pace, assassinato il 14 maggio 2007 al capolinea dei trasporti di Apartadó, area che per molti anni è stata un luogo di terrore a causa di strutture paramilitari patrocinate dalla Polizia di Urabá. Francisco, con notevoli sforzi, aveva costruito una tettoia di rami intrecciati protetta da recinzioni e bandiere della pace dove la popolazione civile poteva trovare rifugio in momenti come questo. Il Governo, come riportato in un documento consegnato alla Corte Interamericana sui Diritti Umani, si rifiutò di riconoscere questa Zona Umanitaria e, con l'omicidio di Francisco, venne distrutta quest'umile tettoia protettrice. Ora militari e paramilitari diffondono ampie ondate di terrore contro la popolazione del luogo.

· Domenica 8 dicembre 2013 , verso le 14:00, nel centro urbano di San José de Apartadó, si è svolto un combattimento tra guerriglieri e forza pubblica. Come spesso accade, la popolazione del centro urbano e coloro che transitavano nella zona si sono ritrovati in mezzo al fuoco incrociato. Ancora una volta si son potute vedere le conseguenze del rifiuto da parte del Governo di rispettare le varie sentenze della Corte Costituzionale che proibiscono di istituire basi militari e della polizia in mezzo alla popolazione civile, poiché, invece di servire come protezione, finiscono per utilizzare i civili come scudo per i militari, ponendoli così in una situazione di estremo rischio.

Mercoledì 11 dicembre 2013 , in mattinata, una donna che fa parte della nostra Comunità di Pace, è stata abbordata da un funzionario del Dipartimento Amministrativo per la Prosperità Sociale, l'antica Acción Social della Presidenza, che in anni anteriori aveva ricoperto l'incarico di Difensore Comunitario nella zona. Il funzionario le ha offerto di svolgere dei servizi per ottenere un indennizzo amministrativo per un suo familiare vittima della violenza, senza che nessuno venisse a conoscenza dell’illegalità del procedimento. Il funzionario le ha dato ad intendere che molta gente si era comportata così, ed era cosciente del fatto che la nostra Comunità di Pace, nelle assemblee decisionali alle quali partecipano tutti i membri della Comunità, ha deciso di non avallare il meccanismo della riparazione amministrativa, poiché non contempla la giustizia e finisce per considerare le vittime come una merce la cui vita e dignità possono essere scambiate con denaro. Evidentemente questo funzionario compie una strategia clandestina di irrisione e distruzione dei nostri principi etici.

· Negli ultimi giorni siamo venuti a conoscenza delle risposte che la Defensoría del Pueblo ha inoltrato alle comunità e organizzazioni di altri Paesi che hanno reclamato la restituzione con vita del giovane Buenaventura Hoyos, fatto scomparire forzatamente il 31 agosto di quest'anno da gruppi congiunti di militari e paramilitari. La Defensoría ritiene adeguate le risposte del Governo nelle quali si afferma che si sta cercando il giovane in ospedali, cliniche, capolinea di mezzi di trasporto e istituti penitenziari, metodi inadeguati per ottenere la restituzione di un giovane i cui rapitori sono intimamente connessi con agenti dello Stato. Questo è stato confermato da una delegazione di 150 persone che ha visitato la zona tra il 6 e il 10 ottobre scorso nel tentativo di riscattare il giovane. La delegazione era composta da persone che fanno parte di gruppi umanitari di otto diversi paesi, da giornalisti di diversi mezzi di comunicazione e da delegati di comunità indigene e contadine di varie parti del Paese. La Defensoría non ha compiuto con il suo dovere di riscattare il ragazzo obbligando gli agenti statali e parastatali che lo mantengono nella condizione di scomparso, a consegnarlo. Per via di tutto questo non possiamo non vedere in questi atteggiamenti forme di complicità, sapendo che la Defensoría è stata voluta dalla Costituzione del 1991 per attuare e non per essere spettatrice attonita della distruzione di tutti i valori nazionali e universali.

Con questa attestazione la nostra Comunità di Pace vuol far conoscere a tutte le comunità e alle persone che in diverse parti del Paese e del mondo ci hanno aiutato a mantenere alti i nostri valori e principi con solidarietà incorruttibile, e ai numerosi mezzi di comunicazione e organizzazioni e settori della società civile che hanno sollecitato la nostra reazione e analisi riguardo alle dichiarazioni presidenziali di perdono. Nessun evento, per importante che sia, può farci perdere di vista la prospettiva della difesa di alcuni valori e principi che abbiamo costruito in mezzo a spaventose sofferenze, in mezzo a processi di resistenza che sono costati la vita a centinaia di nostri fratelli e sorelle.






* Si ringrazia per la traduzione: Carla Mariani, Gaia Capogna, Floriana Fragnito

[1] Auto, Decreto di ottemperanza di una sentenza già emessa e non osservata , n.d.t.

é possibile scaricare il documento al seguente indirizzo: https://sites.google.com/site/amnestyinternationalgruppo208/colombia/comunidad-de-paz-de-san-jose-de-apartado/ilpresidentecihachiestoperdono