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martedì 29 luglio 2014

Azione urgente di Amnesty International

Il 21 di luglio 2014 un membro delle forze armate colombiane, conoscente di un abitante della Comunità, gli ha detto testualmente: ”per questa Comunità è giunta l'ora , stiamo organizzando coi paramilitari il suo sterminio”. Alcuni giorni prima, il 19 luglio, è comparso su un quotidiano locale, un articolo con la dichiarazione del nuovo comandante della XVII brigata, quella che opera nella zona , in cui si afferma che la brigata realizzerà “un lavoro speciale nella Comunità, per recuperare lo spazio perduto”. Ovviamente la Comunità considera queste frasi come una minaccia di sterminio.

Amnesty International ha diramato una nuova azione urgente indirizzata alle autorità colombiane per denunciare queste nuove minacce nei confronti della Comunità di Pace.
L'azione termina a fine Agosto!

domenica 23 febbraio 2014

Colombia cronaca di una morte annunciata



Luis Eduardo Guerra era uno dei leader di San José de Apartadó, una «Comunità di pace». Il 21 febbraio è stato massacrato insieme ad altre 8 persone. Dall'esercito.
Guido Piccoli
Fonte: Il Manifesto
20 marzo 2005

«Che senso hanno, signori, tante riunioni e tanti eventi mentre ci stanno ammazzando? Che senso hanno gli hotel di lusso, gli esperti delle Ong e tanti intellettuali, che senso ha tutto ciò per noi che abbiamo così bisogno che ci aiutiate a non morire» (dal discorso di Luis Eduardo Guerra al Foro Sociale delle Americhe svoltosi a Quito, nel luglio 2004)
Gli dicono che lo stanno cercando, lo scongiurano di nascondersi. La mattina del 21 febbraio scorso, Luis Eduardo Guerra decide di non sfuggire alla violenza, che l'ha accompagnato fin dalla nascita, trentacinque anni fa. Non vuole abbandonare la sua nuova compagna Bellanira e Deiner, il figlio undicenne che zoppica dall'esplosione, nell'agosto scorso, di una granata abbandonata dall'esercito. E' uno dei leader più riconosciuti di San José de Apartadò. Forse si sente protetto dalla solidarietà ricevuta negli Stati uniti e in vari paesi europei, tra cui l'Italia dagli amici di Narni e degli altri gruppi che formano la Rete di solidarietà con la Comunità di pace. O forse non immagina che vogliano ammazzarlo. Si sbaglia. Luis Eduardo, Bellanira e Deiner vengono intercettati vicino al rio Mulatos, portati sul greto del fiume e squartati con i machete fino ad essere decapitati. Poco lontano un altro gruppo entra sparando nella casa di Alfonso Bolivar, membro della Comunità di pace del suo villaggio. L'uomo riesce a scappare. Scappa anche un contadino di nome Alejandro che sta percorrendo un sentiero vicino: una pallottola lo ferisce alla schiena, viene raggiunto e finito. Alfonso potrebbe salvarsi, ma quando sente le urla della moglie Sandra Milena, che chiede pietà per i suoi figli, torna indietro a morire con la sua famiglia. I machete infieriscono sul suo corpo e quello di Sandra. Nessuna pietà neppure per Natalia di quattro anni e per Santiago di solo 18 mesi. I due massacri hanno dei testimoni, il fratellastro di Luis Eduardo e un vicino di Alfonso.
La risposta dell'esercito
Sono loro che raccontano una verità spaventosa: stavolta i carnefici non sono i tagliateste delle Autodefensas Unidas, i principali protagonisti da vent'anni della macelleria colombiana, ma i militari del 33° battaglione di controguerriglia dell'esercito. Da quattro giorni l'intera regione è sorvolata da elicotteri ed aerei bombardieri e invasa dai reparti della 17° brigata di stanza nella base di Carepa. E' la risposta all'imboscata nella valle della Llorona di una settimana prima del V° fronte delle Farc, costata la vita a sedici soldati. Com'è successo tante altre volte, sono i civili indifesi a fare da vittime sacrificali delle rappresaglie.
Da quando, nel 1997, gli sfollati di San José de Apartadò si sono proclamati Comunità di pace, rifiutandosi di collaborare con tutti i protagonisti della guerra, compreso l'esercito, molti generali li considerano alla stregua dei ribelli. Lo stesso presidente Alvaro Uribe, nel corso di un vertice tenuto nel maggio scorso nella vicina Apartadò, sostenne che San José fosse in realtà un «corridoio» usato dalle Farc. Noncurante delle sentenze della Commissione interamericana dei diritti umani e della stessa corte costituzionale colombiana che hanno, in più occasioni, ingiunto allo stato colombiano di «offrire una protezione speciale» alla Comunità di San José, in quell'occasione, Uribe invitò la polizia ad arrestare, se necessario, i suoi dirigenti e a deportare i volontari che li proteggono, prima di tutti quelli delle Peace Brigades.
Quando a San José si viene a sapere del massacro, partono gli inviti a bloccare la carneficina, gli appelli alle organizzazioni umanitarie in Colombia e nel mondo. Per recuperare i corpi delle vittime viene organizzata una spedizione di quasi duecento persone, accompagnata da sacerdoti, cooperanti internazionali e l'ex sindaca di Apartadò, Gloria Cuartas. La comitiva si dirige a Mulatos, nella fattoria di Alfonso, affollata di vicini che aspettano l'arrivo dei funzionari giudiziari. E' il 25 febbraio. Il giorno dopo ci si fa guidare dai cerchi concentrici degli avvoltoi, per scoprire i cadaveri straziati di Luis Eduardo e dei suoi. All'orrore si aggiunge la rabbia. In zona vagano ancora reparti dei soldati. A differenza di altre volte, il loro atteggiamento è sfrontato. C'è chi, ironizzando sul fetore che satura la zona, sostiene che ci sia «puzza di guerrigliero morto». Qualcun altro accusa il gruppo di essere arrivato fino a lì dietro ordine delle Farc. Vengono prese foto e rivolte minacce ai contadini. Un soldato brandisce come un trofeo un machete trovato sul greto del fiume e, nonostante le proteste, lo pulisce con la sabbia cancellando le tracce di sangue. Più che un'ammissione di colpa, l'atteggiamento dei militari equivale ad una rivendicazione.
Di diverso tono sono ovviamente le risposte che le autorità danno pubblicamente a Gloria Cuartas, agli avvocati della Corporación Jurídica Libertad e al padre gesuita Javier Giraldo che denunciano la responsabilità della XVII° brigata nel massacro: mentre il comandante dell'esercito, Reinaldo Castellanos, definisce queste accuse «temerarie», il ministro della difesa, Jorge Alberto Uribe assicura una certa «tranquillità della forza pubblica, visto la sua estraneità al crimine». Da tutto il mondo piovono proteste indignate contro il governo Uribe che, come minimo, non ha fatto nulla per difendere la Comunità di San José. Oltre all'Onu e l'Organizzazione degli stati americani, gli scrive una dura lettera anche il sindaco di Roma, Walter Veltroni. Da parte del governo di Bogotà inizia l'abituale fuoco di sbarramento, orchestrato dal vice-presidente Francisco Santos, ormai esercitato a recitare, nello staff di Uribe, i ruoli più patetici. Salta fuori il solito guerrigliero pentito, lasciato ovviamente anonimo, che racconta che Luis Eduardo sarebbe stato ammazzato dalle Farc per non avere più voluto che San José continuasse ad essere usato dai ribelli «come luogo di riposo e vacanza». L'assurda tesi viene fatta propria dai mezzi di comunicazione. Il 2 marzo arriva in zona una commissione giudiziaria, che si scontra però con un muro di silenzio: nessuno vuole parlare con i giudici. Neppure Gloria Cuartas che ricorda che «tutte le testimonianze rese negli ultimi otto anni sulle violazioni dei diritti umani sono servite soltanto a criminalizzare le vittime e non i carnefici».
Ancora più dall'insediamento di Uribe, parlare di giustizia, in Colombia è un eufemismo. Sottoposta a minacce e ripulita da quasi tutti gli elementi onesti, la magistratura ha sempre assecondato il sodalizio tra i vertici dell'esercito, comandato negli anni scorsi nella regione di Urabà dal generale Rito Alejo Del Río, detto «El Pacificador» (al quale persino gli Usa avevano negato il visto d'ingresso per avere costituito gruppi paramilitari) e il nucleo centrale delle Auc, a capo dei quali c'erano Carlos Castaño e Salvatore Mancuso. Oltre ad intimidire i testi o ad accumulare inutilmente le loro denunce, i giudici hanno lasciato spesso filtrare le loro generalità, segnalandoli ai killer statali e parastatali.
Un massacro impunito
Dei duemila abitanti di San José, dal 1997 ne sono stati ammazzati 165, una ventina dalle Farc e dell'Eln e il resto da militari e paras. Non a caso, nel centro del villaggio, cresce a dismisura un monumento di mattoni con i nomi delle vittime e, dietro le fila delle baracche, il cimitero. Non solo tutti gli omicidi sono rimasti impuniti: come ricorda padre Javier Giraldo «in molti hanno pagato con la morte la fiducia nella giustizia». Per questo, la Comunità ha deciso di rendere testimonianza del massacro solo alla Commissione interamericana dei diritti umani, riunita il 14 marzo in Costarica. I giudici della Fiscalia lasciano a mani vuote San José. Sulla strada del ritorno sono attaccati a colpi di mortai e lanciarazzi, che uccidono un poliziotto di scorta e ne feriscono altri tre. L'agguato, che governo, esercito e giudici attribuiscono alle Farc, corrobora per i giornali la colpevolezza dei ribelli nell'uccisione di Luis Eduardo e degli altri 8. Da Bogotà Uribe tuona che «non può esserci un solo centimetro del territorio nazionale vietato alla forza pubblica». Considerando la «neutralità» una forma di complicità con la guerriglia, il ministro della difesa annuncia che verrà al più presto sanata l'anomalia di San José e delle altre comunità di pace esistenti, per lo più lungo la costa del Pacifico. Quando, il giorno dopo, l'esercito entra nelle stradine del villaggio, i suoi abitanti minacciano un nuovo esodo, rifiutandosi di «convivere con i loro assassini». E fanno un appello a tutte le voci libere del mondo perché si uniscano nel richiedere il rispetto per la popolazione civile.
Il braccio di ferro tra i contadini di San José e lo Stato colombiano chiede di schierarsi. Impresa non facile, ad esempio, per la chiesa. Per un padre Giraldo che rischia ogni giorno di trovare un sicario sulla sua strada, c'è il vescovo della vicina Apartadò che, in questi giorni, ci tiene a sottolineare il suo «accompagnamento solo pastorale» alla comunità ribelle. Ma l'ultima strage impone anche a Bruxelles e alle diplomazie europee presenti a Bogotà d'intervenire. Per salvare altri innocenti e per valutare che non sia il caso di sistemare nella lista dei «terroristi» colombiani anche gli squartatori e i loro rispettabili mandanti e conniventi.



E qui un altro link interessante:
http://radiomacondo.fm/2014/02/22/9-anos-de-la-masacre-en-san-jose-de-apartado/

21 Febbraio: anniversario dell'uccisione di Eduardo Guerra

Il 21 febbraio 2005 la 17ma brigata dell'esercito colombiano uccideva a colpi di machete uno dei leaders della Comunità di Pace insieme alla sua famiglia, si chiamava Eduardo Guerra. Qui sotto   il resoconto  di allora. 
Eduardo è nei cuori di tutta la comunità e  ci spiace che ancora non si sia riusciti a conferire la cittadinanza onoraria a un altro leader, questo ancora vivente, nonostante 4 attentati, cioè Jesus Emilio.  

lunedì 17 febbraio 2014

Elezioni parlamentari in Colombia, minacce di morte ai candidati

Il 2014 è un anno di grande importanza per l’America Latina: in sette paesi su 19 si terranno elezioni. Tra questi la Colombia, col doppio appuntamento delle parlamentari del 9 marzo e delle presidenziali del 25 maggio.

Leggi l'articolo:
http://lepersoneeladignita.corriere.it/2014/02/18/elezioni-parlamentari-in-colombia-minacce-di-morte-ai-candidati/ 

domenica 16 febbraio 2014

Una nuova azione urgente di Amnesty


E' da poco stata diramata una nuova azione urgente di Amnesty International indirizzata alle autorità colombiane per denunciare nuove minacce nei confronti della Comunità di Pace
Ecco qui di seguito la traduzione in italiano!

Il 5 febbraio un ordigno esplosivo è esploso vicino alla stazione di polizia nella zona urbana di San José de Apartadó , dipartimento di Antioquia , nord-ovest della Colombia . L'esplosione dell'ordigno , che secondo quanto riferito era stato piazzato dalle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia ( (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia, FARC ), è stata avvertita negli edifici vicini , causando danni a una casa appartenente alla Comunità di Pace di San José de Apartadó . Le lezioni sono state sospese in una scuola vicina a causa degli effetti dell'esplosione.
Lo stesso giorno , i soldati del XVII Brigata dell'esercito colombiano hanno detto ai contadini: "quello che è successo qui sarà pagato a caro prezzo dagli abitanti di San José attraverso azioni paramilitari in Apartadó e in Tierra Amarilla , nessuno dovrebbe dimenticare che lavoriamo insieme" ( lo sucedido aquí lo pagarán caro los Pobladores HP de San José a través de acciones de los paramilitares en Apartadó y en Tierra Amarilla , que un nadie se le olvide que nosotros trabajamos Juntos ) .
Lo stesso gruppo di soldati ha anche detto a un membro della Comunità di Pace che l'avrebbero fatta finita con ( parola usata "acabar") la Comunità di Pace . L'8 febbraio Wber Areiza , membro della Comunità di Pace , è stato temporaneamente arrestato due volte da soldati della Brigata XVII . Da allora è stato rilasciato. Ci sono state ripetute segnalazioni di presenza di paramilitari nella zona , nonostante la presenza delle forze armate .

Amnesty International invita a scrivere alle autorità colombiane:
1 . Esprimendo preoccupazione per la sicurezza dei membri della Comunità di Pace di San José de Apartadó e altri civili che vivono nella zona ;
2 . Esortando le autorità a eseguire indagini complete e imparziali sull'esplosione, sulle minacce fatte da membri dell'esercito e da paramilitari e sulla presenza dei paramilitari , e di pubblicare i risultati e portare i responsabili alla giustizia ;
3 . Ricordando che i civili, tra cui la Comunità di Pace di San José de Apartadó e altri civili che vivono nella zona , hanno il diritto di non essere coinvolti nel conflitto armato ;
4 . Esortando le autorità a prendere misure immediate per smantellare i gruppi paramilitari e rompere i loro legami con le forze di sicurezza , in linea con gli impegni presi dal governo e le raccomandazioni formulate dalle Nazioni Unite e da altre organizzazioni intergovernative .



martedì 11 febbraio 2014

No estan solos

Dopo più di 24 ore di preoccupazione e di ansia finalmente abbiamo potuto ricollegarci al sito della Comunità di Pace di San Josè Apartadò, comunità che da più di 5 anni abbiamo " in adozione"; finalmente tiriamo un respiro di sollievo. 

Ma, da ieri sera, sono state ore molto tormentate: prima il nostro sito facebook oscurato, successivamente quello della Comunità, la nostra ansia aumentava continuamente, pensavamo alla Comunità, che aveva appena subito il sequestro di un suo membro , ad un possibile aumento di violenza, alla preparazione di un altro eccidio ora che erano stati quasi tagliati fuori dal mondo.. un continuo scambio di mail, di telefonate.. invano.. non si avevano notizie e la paura aumentava.

Finalmente stasera da Operazione Colomba, l'associazione non violenta presente a S. Josè abbiamo avuto le prime notizie, la vita " sigue siendo" , sono a conoscenza dell'oscuramento del sito , dovuto , forse, ad uno spionaggio telematico, ovviamente illegale, da parte dell'esercito, Amnesty International , molto velocemente, ha emesso un'azione urgente, che certamente faremo, abbiamo scritto una mail alla Comunità.. ora aspettiamo che ci rispondano.

Certo non c'è da rallegrarsi, la Comunità è sempre in pericolo, minacciata dalle 2 parti in conflitto, nonostante abbia scelto la non violenza attiva, ora, più che mai, occorre far sapere a quante più persone possibile cosa succede a questi nostri amici, che ogno giorno, con le loro scelte e la loro quotidianità, ci insegnano che la pace è la più grande ricchezza e battersi per essa, anche se è difficile e rischioso, è l'unico modo degno di vivere.


In questa foto, che ritrae noi, gruppo 208 AI e che abbiamo inviato alla Comunità, si vede un grande striscione con la scritta " No estan solos" , con l'aiuto di chi vorrà, dobbiamo continuare a metterlo in pratica.


Ci contiamo
Gr 208 AI Fidenza Fiorenzuola

martedì 14 gennaio 2014

L' Anno inizia con nuove aggressioni.


La calma apparente nel periodo di Natale è finita molto rapidamente per la nostra comunità di Pace di San Josè di Apartadò. Le istituzioni statali stanno violando la nostra privasy,gli attori armati continuano ad essere presenti nel nostro territorio sparando con le loro armi e seminando terrore.

Militari e paramilitari sono tornati al periodo in cui la criminalità era più forte nella loro azione, non più solo per annunciare massacri e aggressioni, ma ribadendo i loro posti di blocco illegali sulla strada cercando i nostri leader per sterminarli.

Tutto questo in assoluta mancanza di protezione, in cui lo stato si rifiuta di controllare i suoi agenti diretti e diretti nelle loro pratiche criminali.

Per questo motivo, ancora una volta, facciamo conoscere al paese e al mondo le ultime aggressioni:

MARTIDI 31 DICEMBRE 2014,verso le ore 11.00 i funzionari del difensore civico per i diritti umani (Defensoria del Pueblo) sono entrati nel nostro insediamento privato senza autorizzazione, ignorando cosi le recinzioni a i cartelli che delimitano il nostro territorio.

Essi si sono giustificati dicendo che l'hanno fatto perchè credevano che dopo la richiesta di perdono fatta dal presidente Santos alla nostra comunità di Pace, non vi era più alcuna limitazione o restrizione del dialogo e della relazione tra la comunità e le istituzioni, ignorando cosi la privasy dei nostri spazi.

SABATO 5 E DOMENICA 6 GENNAIO 2014 detonazioni di manufatti esplosivi si sono sentiti nelle zone rurali di Mulatos e La Resbalosa. Si teme che ci possano essere morti o feriti come conseguenza di queste esplosioni.

MARTEDI 7 GENNAIO 2014, verso le 18:30, un combattimento intenso si è verificato nella zona conosciuta come La Antena nel comune di San Josè provocando il terrore nella popolazione civile della zona.

MERCOLEDI 8 GENNAIO 2014 verso le ore14:15, nel luogo noto come Tierra Amarilla, lungo la strada che collega Apartadò e San Josè de Apartadò, tre paramilitari armati in abiti civili hanno bloccato un pulmino diretto a San Josè.
Hanno chiesto se a bordo vi era German Gracioso Posso, Legale Rappresentante della Comunità di Pace.
Ma German fortunatamente solo all'ultimo momento aveva deciso di non prendere quel pulmino.
- Vale la pena ricordare che lo stesso giorno nelle ore mattutine, la polizia aveva installato un posto di blocco a pochi minuti di distanza de Tierra Amarilla.-
I paramilitari quando hanno capito che German non era presente in quel veicolo prima di andare via hanno minacciato tutti che se volevano continuare a vivere non dovevano dire nulla sull'accaduto.
Tutto lascia pensare che i loro obiettivi sono quelli di assassinare o sequestrare i nostri rappresentanti legali.

Il luogo,dove erano in attesa  German, è il luogo dove la presenza del paramilitarismo negli ultimi anni è stata intensa e i loro posti di blocco in questo stesso luogo hanno portato alla morte o sparizione forzata numerosi membri della nostra comunità di Pace.

Informiamo, con la presente, il paese e il mondo di questi fatti. Ancora una volta ringraziamo le numerose comunità e gruppi di Colombia e in molti altri paesi che hanno messo in discussione e criticato le autorità colombiane per la loro complicità in questi crimini e hanno condannato con forza le pratiche che sono assolutamente contrari al rispetto dei diritti di tutti gli esseri umani.
Ancora una volta condanniamo, dalla nostra impotenza, la criminalità ostinata dello Stato che ci governa.

Comunidad de paz de San Josè de Apartadò 

13 gennaio 2014

sabato 4 gennaio 2014

il Presidente della Repubblica, Juan Manuel Santos Calderón, ha chiesto perdono alla nostra Comunità di Pace



COMUNICATO 
DELLA
Comunidad de Paz de San josé de Apartadó


Il Presidente ci ha chiesto perdono

16 dicembre 2013

 Lo scorso 10 dicembre nell’ambito di una cerimonia al Palacio de Nariño per lanciare la Propuesta Política Integral de Derechos Humanos, il Presidente della Repubblica, Juan Manuel Santos Calderón, ha chiesto perdono alla nostra Comunità di Pace in questi termini:

“Da alcuni anni, dalla prima autorità della Nazione, sono state fatte accuse ingiuste alla Comunità di Pace di San José de Apartadó rispetto alle quali la Corte Costituzionale ha ordinato alla Stato, nella persona del suo Presidente, che fossero ritrattate. Oggi desidero, in questa giornata di celebrazione dei diritti umani, davanti al paese e al mondo, portare a termine questa smentita. E lo faccio con una ferma convinzione di democratico, con tutto il significato che comporta questa ritrattazione in termini di giustizia morale per una comunità che ha scommesso su un presente e un futuro di pace. Noi ritrattiamo come Stato e come Stato manifestiamo l’impegno irrinunciabile per il rispetto e la protezione dei Diritti Umani così come il nostro rispetto agli organi giudiziari che tutelano questi diritti. Riconosco nella Comunità di Pace di San José de Apartadó una coraggiosa rivendicazione dei diritti dei colombiani, poiché nonostante abbia sofferto il conflitto sulla propria pelle ha perseverato nel suo proposito di raggiungere la pace per il Paese. Non siamo d’accordo con frasi o atteggiamenti di stigmatizzazione nei confronti di coloro che cercano la pace e rifiutano la violenza ed anzi consideriamo che tutti i difensori della pace e dei diritti umani devono essere elogiati e protetti. PER QUESTO CHIEDIAMO PERDONO, CHIEDO PERDONO”.

Con questo gesto il Presidente ha voluto adempiere in maniera estemporanea all’ordine emanato dalla Corte Costituzionale nell’ Auto n. 164 del 6 luglio 2012[1] nel quale si stabilisce al primo punto risolutivo, ordinare al Ministro dell’Interno che “nel termine massimo di un mese contato a partire dalla comunicazione del presente Auto, coordini e metta in atto il procedimento per la presentazione ufficiale della ritrattazione di fronte alle accuse formulate contro la Comunità di Pace e i suoi accompagnanti, e la definizione di un procedimento per evitare future segnalazioni contro la stessa, come la definizione di un canale unico di comunicazione che riduca i rischi di segnalamento e incoraggi la ricostruzione della fiducia”.

La nostra Comunità di Pace considera positivamente i termini del gesto presidenziale e pensa che con questo si dà compimento a una parte dell’ordine n.1 dell’Auto 164/12 della Corte Costituzionale.

Anche se consideriamo sia positivo che il Presidente Santos abbia riconosciuto l’ingiustizia commessa e che tenti di risarcirla con parole che invitano il Paese e il mondo a rettificare una stigmatizzazione durata 9 anni - che ha giustificato oltre duemila crimini di lesa umanità con i quali hanno cercato di distruggerci -, resta in sospeso l’adempimento della seconda parte dell’ordine emesso dalla Corte Costituzionale che consiste nella “definizione di un procedimento per evitare future segnalazioni contro la stessa, come ad esempio la definizione di un canale unico di comunicazione che riduca i rischi di segnalamento e incoraggi la ricostruzione della fiducia”.

La nostra Comunità è profondamente dispiaciuta di non essere stata contattata in nessun momento dall’ufficio della Presidenza; di non essere stata previamente avvisata del suo proposito di ritrattazione – fatto di cui siamo venuti a conoscenza posteriormente attraverso la stampa – e di non aver valutato in modo concreto e reale le dimensioni e le conseguenze delle calunnie presidenziali in questi nove anni. Da quando è cominciato il mandato del Presidente Santos, la nostra Comunità ha protocollato al suo ufficio 12 diritti di petizione (derechos de petición), contenenti i fatti di barbarie a cui siamo stati e continuiamo ad essere sottomessi da parte dei suoi subordinati. Il Presidente non ha mai fornito alcuna risposta; il suo ufficio si è di fatto limitato a sottoporre i documenti ai nostri stessi carnefici, che in maniera persistente e contumace negano e affermano di non conoscere ciò che abbiamo sofferto sulla nostra pelle da parte delle loro mani criminali. Speriamo che il Signor Presidente decida di conoscere e valutare direttamente il processo sistematico di sterminio che militari e paramilitari in unità d’azione cercano di perpetrare contro di noi. La nostra esperienza di 16 anni passati a seppellire morti, affrontando montature giudiziarie della più alta e raffinata perversità; riparando senza alcun aiuto dello Stato le distruzioni provocate da saccheggi, incendi e distruzioni di case, coltivazioni e beni primari di sussistenza; prendendoci cura delle persone torturate e minacciate, vittime di bombardamenti indiscriminati e di scontri bellici realizzati ostinatamente in mezzo alla popolazione civile contro tutte le prescrizioni della Corte Costituzionale; cercando di evitare con diverse strategie gli avvelenamenti delle nostre fonti d’acqua, lo stupro delle nostre donne, giovani, bambini e perfino animali; le appropriazioni illegali e le incursioni congiunte di militari e paramilitari che mirano soltanto a seminare terrore, a impedire l’esercizio dei diritti civili e politici e a cercare un asservimento dei civili ai loro piani di controllo territoriale militare/paramilitare insieme, a beneficio di imprese con fini inconfessabili; protestando e denunciando lo spaventoso marciume dei poteri giudiziari e disciplinari della zona, che calpesta ogni norma legale e lascia nell’impunità assoluta tutti i crimini… tutta questa sofferenza ci impone con forza l’interrogativo se sia possibile fermare questa barbarie senza prendere una sola misura di correzione e sanzione nei confronti del personale militare e poliziesco che ha controllato la zona durante almeno gli ultimi tre lustri, in stretto coordinamento con strutture paramilitari terribilmente criminali. Perciò ci chiediamo con angoscia: sarà che le sole parole di perdono fermeranno il sistematico crimine contro l’umanità, definito nello Statuto di Roma come PERSECUZIONE, senza prevedere misure reali ed efficaci che chiariscano, correggano, sanzionino e riparino? La nostra Comunità continua ad aspettare almeno quello che la Corte Costituzionale nella sua saggezza ha definito come un procedimento per evitare futuri segnalamenti contro la nostra comunità e un canale unico di comunicazione che riduca i rischi di segnalamento.

Continuiamo anche ad aspettare il compimento delle altre 4 ordinanze impartite dalla Corte Costituzionale nell’Auto 164/12, che non sono state rispettate nei termini stabiliti dalla Corte, restando in attesa di nuove misure: 

- L’istituzione di una Commissione di Valutazione della Giustizia;

- L’istituzione di un progetto di prevenzione e protezione collettivo di vita, integrità, sicurezza e libertà della Comunità di Pace, così come l’adozione di un meccanismo di protezione che non aumenti il rischio per i suoi membri e accompagnanti;

- L’istituzione di un procedimento limpido e trasparente per gestire i reclami e le denunce della comunità di pace, mentre si arrivi a risultati efficaci nella Commissione di Valutazione della Giustizia e si possa istituire nella zona una Casa di Giustizia;

- L’istituzione di un procedimento di revisione e applicazione dei principi del diritto internazionale umanitario che rispetti insieme il dovere costituzionale della forza pubblica e i diritti della Comunità di Pace, alla luce del meccanismo adottato congiuntamente dalla forza pubblica e dalle comunità di pace nel 1998, che escludeva la presenza della forza pubblica nelle zone umanitarie se non per evitare problemi puntuali di ordine pubblico secondo la concezione delle comunità o delle case di giustizia.

Deploriamo profondamente che le decisioni e omissioni del Signor Presidente continuino senza una visibile comprensione del fatto che la nostra Comunità di Pace continua a soffrire un processo di sterminio e violazione dei suoi diritti fondamentali da parte dei suoi diretti subordinati e che, se non prende decisioni drastiche nei confronti di tutto ciò, continuerà a incorrere nella responsabilità di comando sugli esecutori dei crimini contro l’umanità, disattendendo norme concrete della Costituzione Nazionale e dei Trattati Internazionali sui Diritti Umani.

Esempio chiarissimo di tutto ciò è il suo negarsi ad esigere dal Ministro della Difesa l'osservanza della Sentenza 1025/07, malgrado le nostre ormai numerose petizioni affinché impartisca ordini precisi perché venga rispettata. Non concepiamo come l'ostinazione del Ministro della Difesa nel perpetuare in questo oltraggio, non abbia indotto il Presidente a destituire un funzionario che non rispetta la Costituzione e la Legge, e perché continui tollerando l'oltraggio in flagrante violazione della Costituzione Nazionale.

Un altro esempio di tutto ciò è quello di rifiutarsi di ordinare all'Esercito la restituzione alla sua famiglia e alla sua comunità del giovane BUENAVENTURA HOYOS HERNÁNDEZ, fatto sparire forzatamente il 31 agosto scorso nella frazione La Hoz di San José de Apartadó da un gruppo di paramilitari che attuano in stretta collaborazione con le truppe del Batallón Vélez della Brigada XVII dell'Esercito, lo stesso Battaglione che commise l'orrendo massacro del 21 febbraio 2005. Il ripugnante cinismo con cui il Governo risponde agli organismi intergovernativi che gli chiedono di consegnare il giovane scomparso, affermando che lo stanno cercando negli ospedali e ai capolinea dei trasporti, mentre sanno fin troppo bene che truppe congiunte di militari e paramilitari lo hanno sottratto a ogni protezione giuridica dei suoi diritti e lo hanno sommerso in un'assoluta indefinitezza esistenziale. Questo è un caso in più che ci porta a chiederci fino a che punto le parole – incluse quelle che hanno chiesto il Perdono – possano invece servire da copertura alle barbarie e legittimare gli Stati che hanno perfino sottoscritto accordi internazionali come la Convención Interamericana contra la Desaparición Forzata de Personas, cancellando con i fatti quello che si sottoscrive solennemente nei forum delle nazioni.

Il persistere inclemente della PERSECUZIONE ci obbliga ad aggiungere a questo comunicato l'elenco degli ultimi FATTI che abbiamo sofferto:

· Venerdì 6 dicembre 2013, verso le 14.30, nella fazione Miramar si è sentita l’esplosione di una bomba, cosa che ha gettato nel panico la popolazione del luogo. Ci siamo immediatamente ricordati di FRANCISCO PUERTAS, coordinatore di questa Zona Umanitaria della nostra Comunità di Pace, assassinato il 14 maggio 2007 al capolinea dei trasporti di Apartadó, area che per molti anni è stata un luogo di terrore a causa di strutture paramilitari patrocinate dalla Polizia di Urabá. Francisco, con notevoli sforzi, aveva costruito una tettoia di rami intrecciati protetta da recinzioni e bandiere della pace dove la popolazione civile poteva trovare rifugio in momenti come questo. Il Governo, come riportato in un documento consegnato alla Corte Interamericana sui Diritti Umani, si rifiutò di riconoscere questa Zona Umanitaria e, con l'omicidio di Francisco, venne distrutta quest'umile tettoia protettrice. Ora militari e paramilitari diffondono ampie ondate di terrore contro la popolazione del luogo.

· Domenica 8 dicembre 2013 , verso le 14:00, nel centro urbano di San José de Apartadó, si è svolto un combattimento tra guerriglieri e forza pubblica. Come spesso accade, la popolazione del centro urbano e coloro che transitavano nella zona si sono ritrovati in mezzo al fuoco incrociato. Ancora una volta si son potute vedere le conseguenze del rifiuto da parte del Governo di rispettare le varie sentenze della Corte Costituzionale che proibiscono di istituire basi militari e della polizia in mezzo alla popolazione civile, poiché, invece di servire come protezione, finiscono per utilizzare i civili come scudo per i militari, ponendoli così in una situazione di estremo rischio.

Mercoledì 11 dicembre 2013 , in mattinata, una donna che fa parte della nostra Comunità di Pace, è stata abbordata da un funzionario del Dipartimento Amministrativo per la Prosperità Sociale, l'antica Acción Social della Presidenza, che in anni anteriori aveva ricoperto l'incarico di Difensore Comunitario nella zona. Il funzionario le ha offerto di svolgere dei servizi per ottenere un indennizzo amministrativo per un suo familiare vittima della violenza, senza che nessuno venisse a conoscenza dell’illegalità del procedimento. Il funzionario le ha dato ad intendere che molta gente si era comportata così, ed era cosciente del fatto che la nostra Comunità di Pace, nelle assemblee decisionali alle quali partecipano tutti i membri della Comunità, ha deciso di non avallare il meccanismo della riparazione amministrativa, poiché non contempla la giustizia e finisce per considerare le vittime come una merce la cui vita e dignità possono essere scambiate con denaro. Evidentemente questo funzionario compie una strategia clandestina di irrisione e distruzione dei nostri principi etici.

· Negli ultimi giorni siamo venuti a conoscenza delle risposte che la Defensoría del Pueblo ha inoltrato alle comunità e organizzazioni di altri Paesi che hanno reclamato la restituzione con vita del giovane Buenaventura Hoyos, fatto scomparire forzatamente il 31 agosto di quest'anno da gruppi congiunti di militari e paramilitari. La Defensoría ritiene adeguate le risposte del Governo nelle quali si afferma che si sta cercando il giovane in ospedali, cliniche, capolinea di mezzi di trasporto e istituti penitenziari, metodi inadeguati per ottenere la restituzione di un giovane i cui rapitori sono intimamente connessi con agenti dello Stato. Questo è stato confermato da una delegazione di 150 persone che ha visitato la zona tra il 6 e il 10 ottobre scorso nel tentativo di riscattare il giovane. La delegazione era composta da persone che fanno parte di gruppi umanitari di otto diversi paesi, da giornalisti di diversi mezzi di comunicazione e da delegati di comunità indigene e contadine di varie parti del Paese. La Defensoría non ha compiuto con il suo dovere di riscattare il ragazzo obbligando gli agenti statali e parastatali che lo mantengono nella condizione di scomparso, a consegnarlo. Per via di tutto questo non possiamo non vedere in questi atteggiamenti forme di complicità, sapendo che la Defensoría è stata voluta dalla Costituzione del 1991 per attuare e non per essere spettatrice attonita della distruzione di tutti i valori nazionali e universali.

Con questa attestazione la nostra Comunità di Pace vuol far conoscere a tutte le comunità e alle persone che in diverse parti del Paese e del mondo ci hanno aiutato a mantenere alti i nostri valori e principi con solidarietà incorruttibile, e ai numerosi mezzi di comunicazione e organizzazioni e settori della società civile che hanno sollecitato la nostra reazione e analisi riguardo alle dichiarazioni presidenziali di perdono. Nessun evento, per importante che sia, può farci perdere di vista la prospettiva della difesa di alcuni valori e principi che abbiamo costruito in mezzo a spaventose sofferenze, in mezzo a processi di resistenza che sono costati la vita a centinaia di nostri fratelli e sorelle.






* Si ringrazia per la traduzione: Carla Mariani, Gaia Capogna, Floriana Fragnito

[1] Auto, Decreto di ottemperanza di una sentenza già emessa e non osservata , n.d.t.

é possibile scaricare il documento al seguente indirizzo: https://sites.google.com/site/amnestyinternationalgruppo208/colombia/comunidad-de-paz-de-san-jose-de-apartado/ilpresidentecihachiestoperdono

martedì 24 dicembre 2013

Comunità di pace di San José de Apartadó - Colombia

In occasione del conferimento della cittadinanza onoraria da parte del Comune di Narni alla Comunità di Pace di San José de Apartadó e al noto difensore dei diritti umani padre Javier Giraldo Moreno, il Circolo culturale "primomaggio", in collaborazione con LIBERA e con la Rete Italiana di Solidarietà "Colombia vive", ha organizzato il 26 ottobre 2013 un incontro presso la Libreria "Musica e libri" di Bastia.
Alla Comunità di pace colombiana, TeF Channel ha dedicato una puntata della trasmissione "Bastia e dintorni", condotta dalla giornalista Roberta Bistocchi, andata in onda mercoledì 6 novembre 2013.



venerdì 17 maggio 2013

Los Pecados de la Guerra

Questo documentario racconta le più recenti atrocità contro la Comunità di Pace di San Josè di Apartadò e la popolazione circostante da parte della forza pubblica, oltre al massacro del 21 febbraio 2005.
Il video è stato realizzato e pubblicato da TAInfrarrojo


altri video sono visualizzabili anche sul sito della Comunità di Pace di San Josè di Apartadò.

domenica 12 maggio 2013

L’Esercito Nazionale colombiano responsabile per i fatti accaduti il 21 febbraio del 2005



Colombia 
Venerdì 10 Maggio 2013 10:30

Il seguente testo è tratto da una registrazione audio effettuata dai volontari di Operazione Colomba il 23 marzo del 2013 nel corso delle celebrazioni per il sedicesimo compleanno dellaComunidad de Paz. In questa occasione, Jorge Molano (1) ha riferito alla comunità i risultati ottenuti dalle indagini, attualmente in corso, sui fatti avvenuti il 21 febbraio del 2005 nelle veredas (2) la Resbalosa e Mulatos.

Dall’analisi di alcuni documenti segreti, conservati negli archivi militari dell’Esercito Nazionale colombiano, emerge che le violazioni perpetuate sulla popolazione civile il 21 febbraio del 2005 non sono da considerarsi come casuali e isolate, ma corrispondono a una precisa politica militare pensata e diretta all'interno del comando generale dell’Esercito a Bogotà. Ufficiali, sub-ufficiali e soldati vengono addestrati con appositi manuali indicanti i nomi e le strategie militari da attuare contro tutti coloro che sono considerati i nemici dello Stato. In merito a ciò, nel corso delle indagini è emersa la presenza di un manuale militare risalente al febbraio del 2002, edito dal centro di educazione militare dello Stato colombiano, Escuela de Armas y de Servicio, dal titolo: Comunidades de Paz. Questo significa che le Comunità di Pace già dall'anno 2002 erano considerate di interesse speciale e strategico all'interno del piano militare e politico dell'Esercito Nazionale colombiano. Per tanto, la responsabilità per le violazioni commesse, non sono da attribuirsi in modo esclusivo alla Brigata XII (3), ma corrispondono a una precisa strategia militare pensata nel Centro di Formazione dell'Esercito Nazionale di Bogotà. 
Questo manuale si concentra specificatamente sulle comunità del Chocò e sulla Comunità di Pace dell’Urabà Antioqueno. Il manuale non riporta per esteso il nome della Comunitad de Paz de San Josè de Apartadò, ma non essendo presente nessun’altra comunità di pace all'interno dell’Uraba antioqueno, quest'ultima è da considerarsi come l'unica comunità oggetto di indagine speciale in tutta la regione di Antioquia. Il manuale, approssimativamente di 90 pagine, raccoglie la storia, la formazione, la filosofia e la strategia politica delle comunità. All’interno dello stesso, la Comunidad de Paz di San Josè è considerata un attore attivo all’interno del conflitto colombiano, proprio come le organizzazioni paramilitari e la guerriglia, capace di inclinare la pace e la stabilità dello Stato.
Nelle pagine introduttive del testo, è possibile leggere la seguente frase:
“[…] Por tal motivo es de obligatorio conocimiento para nosotros como militares para tener un mayor conocimiento y poder manejar estas comunidades dentro del ámbito de la Guerra Política en Colombia […].”
Questo dimostra che: lo Stato Colombiano a partire dal Ministero della Difesa, dall'anno 2002, aveva messo per iscritto l'intenzione di avviare un'azione di guerra nei confronti della Comunità, come uno degli obbiettivi strategico-militari della guerra in Colombia. 
Un aspetto altrettanto importante nel determinare la responsabilità dello Stato Colombiano per le violazioni commesse nel 2005 è la scoperta di tre documenti segreti trovati negli archivi del DAS (4).
Il primo documento è stato scritto in data 20 gennaio 2005 (all’incirca 30 giorni prima della morte di Luis Eduardo Guerra, leader della Comunità al momento dell’accaduto) dal Sig.re Ederson Blaco Consuegra, l'allora capo operativo del dipartimento del DAS della città di Apartadò e indirizzato al Comando del Das di Antioquia. Nel testo è possibile leggere per esteso i nomi e il numero della carta d'identità di tutte le persone oggetto d’indagine segreta nella sede operativa del DAS di Apartadò:
“Wilson David, Eduar Lancheros Jimenez, Arturo David Usuga, Lubian de Jesus Tuberquia Sepulveda, Luis Eduardo Guerra Guerra, Gildardo Tuberquia Usuga, Jesus Emilio Tuberquia, Antonio Javier Sanchez Higuita, Marina Osorio, membri della Comunidad de Paz de San Josè.”
Un altro documento, considerato rilevante ai fini dell’indagine giudiziaria, è stato realizzato in data 17 gennaio del 2005 dal capo operativo del dipartimento del DAS di Apartadò e indirizzato alla Banca (BBVA) (5), sezione di Apartadò. In questo secondo documento, il DAS chiede alla banca di fornire informazioni dettagliate sul conto corrente bancario delle seguenti persone: Wilson David Higuita, Amanda Usuga Piedrahita, Lubian de Jesus Tuberquia Sepulveda, Luis Eduardo Guerra Guerra, Gildardo Tuberquia Usuga, Jesus Emilio Tuberquia, specificando che su di loro è in corso una indagine speciale del DAS. La Banca (BBVA) invierà una lettera di risposta al DAS, in data 2 febbraio 2005 (19 giorni prima della morte di Luis Eduardo Guerra Guerra), fornendo tutte le informazioni ad essa richieste. 
Questi documenti dimostrano che la responsabilità per le violazioni avvenute il 21 febbraio del 2005, con la morte di Luis Eduardo Guerra, Alfonso Bolivar Tuberquia Graciano e altre sei persone, di cui tre bambini, a Mulatos e alla Resbalosa, non sono da attribuirsi al solo comando della Brigata XII, ma in modo preponderante al DAS e con la compiacenza di altri istituti privati, quali la banca BBVA.


Infine, un terzo documento con data 9 febbraio 2005, indirizzato al Direttore generale del DAS, Jorge Aurelio Noguera Cote, ed emesso dalla sezione del DAS di Apartadò indica Luis Eduardo Guerra Guerra e Alfonso Bolivar Tuberquia Graciano, segnalati con una foto identificativa, come sovversivi e coinvolti con le azioni militari del Quinto battaglione delle FARC.

Dall’analisi di questi tre elementi emerge che le azioni compiute il 21 febbraio del 2005 sono state deliberatamente pianificate e messe in pratica dallo Stato colombiano. Infatti, almeno due delle vittime del massacro comparivano all’interno della lista delle persone oggetto delle indagini del DAS e all’interno dei documenti sopra citati.

I meccanismi utilizzati dallo Stato per mascherare il crimine.
Nei giorni precedenti al massacro, l’esercito manipolò le coordinate delle truppe per non far emergere la presenza dei militari sul luogo del massacro. Nel corso di uno dei primi dibattiti, avvenuto nel Congresso della Repubblica, la difesa dell’esercito sostenne con veemenza l’impossibilità della presenza di truppe della Brigata XII nel luogo e nel momento del massacro, dimostrando con false prove che le truppe si trovavano a 7 giorni di distanza dal luogo oggetto d’indagine. 
Tuttavia, l’accusa ha dimostrato che il dipartimento del DAS aveva dato ordine, in data 18 febbraio 2005, di alterare le coordinate delle truppe modificando documenti e gli archivi contenuti nei computer dell’Esercito Nazionale colombiano. Le truppe della Brigata XII, mentre si trovavano nella vereda de la Union, dichiararono al comando generale di trovarsi all’interno della base operativa di San Josè. 
Inoltre, il Capitano Gordillo, capo delle truppe sul terreno, nel corso di una trasmissione televisiva del 2005 dichiarò che egli, nel momento esatto in cui avveniva il massacro, si trovava nel Chocò quando in realtà, nel corso delle indagini, è emerso che egli era fisicamente presente nell’area della Resbalosa e di Mulatos. Questo significa che il Capitano Gordillo non solo era a capo del Battaglione della Brigata XII, ma era anche il capo militare della truppa che coordinava le azioni militari sul terreno, il quale doveva tenere informati i capi generali delle azioni compiute sul luogo del massacro.
Inoltre, nei giorni precedenti la creazione della Commissione Giudiziaria, è stato dimostrato che un elicottero atterrò nel luogo del massacro con a bordo il Comandante generale della Brigata XII, Hector J. Fandino, e che egli in presenza di alcuni paramilitari e militari dichiarò: “avete agito al di là dei vostri ordini”. Successivamente le indagini hanno riportato che lo stesso Generale Fandino riunì le truppe militari e le informò sul comportamento da tenere e le dichiarazioni da fare alle autorità che, nei giorni seguenti, sarebbero arrivate per indagare sui fatti. Negli stessi giorni, anche il Capitano Gordillo venne richiamato al Comando Generale di Bogotà per essere informato sulle dichiarazioni da rilasciare durante l’interrogatorio.
Il terzo meccanismo utilizzato per mascherare la responsabilità dell’esercito è stato quello di affidare la protezione e la tutela degli investigatori agli esecutori del massacro. Alcuni giorni dopo la strage, infatti, arrivarono sui luoghi dell’accaduto giudici e investigatori sotto il comando del Capitano Gordillo. 
Il colpevole della violazione dei diritti umani venne dunque incaricato di proteggere la giustizia. 
Alla luce di questi fatti è possibile capire perché le indagini abbiano subito intoppi e rallentamenti, dirigendosi verso altri indiziati con l’ausilio di false testimonianze. Polinar, Quintan Tuberquia, Mariza Munoz risultano essere i tre testimoni pagati dall’Esercito per mentire nel corso del processo. Durante l’interrogatorio i tre dichiareranno che: “La Fuerza Armada Revolucionaria de Colombia è l’unico responsabile dei fatti accaduti il 21 febbraio del 2005. Inoltre, affermarono che Luis Eduardo Guerra Guerra già da alcuni giorni prima della sua morte aveva maturato la decisione di ritirarsi dalla Comunidad de Paz.” Negli stessi giorni in cui avverranno gli interrogatori ai falsi testimoni, anche l’ex-Presidente Alvaro Uribe Velez affermerà pubblicamente che la responsabilità di quanto accaduto in data 21 febbraio del 2005 è da attribuirsi in modo esclusivo alle FARC.
I tre elementi sopra menzionati ci mostrano come l’Esercito e lo Stato colombiano abbiano architettato false prove e tentato si sabotare le indagini al fine di fare ricadere sulle FARC la responsabilità dei fatti accaduti e screditare di fronte all’opinione pubblica l’immagine dellaComunidad de Paz di San Josè de Apartadò.
Nel corso delle ultime indagini è emerso anche che i testimoni ricevettero 3 milioni di Pesos dall’Esercito colombiano. Nel municipio di Turbo, venti giorni dopo il massacro, avverrà una riunione nella quale il Colonello Nestor Ivan Duque, comandante del battaglione Munoz, riceverà tre milioni e mezzo di Pesos dal capo paramilitare dell’area “bananera”, comunemente chiamato H.H. Eber Belosa, per pagare i tre testimoni. Durante il processo lo stesso Colonnello Nestor Ivan Duque, dichiarò di essere stato obbligato a mentire e di avere usufruito del programma di protezione dei testimoni del Ministero dell’Interno che comprendeva: un sussidio mensile, una casa a Bogotà e un corpo di protezione speciale per circa sei mesi.

Le persone responsabili del crimine
Le investigazioni hanno dimostrato che in data 15 febbraio del 2005, nel municipio di Turbo avvenne una riunione tra i capi militari, tra i quali il Colonnello Nestor Ivan Duque e il Generale Fernando Augusto Castro e i tre capi paramilitari operativi nell’area di Antioquia (comunemente chiamati Raton, Jonas e Melaza). Durante la stessa riunione ai tre capi paramilitari venne affidato il compito di affiancare le azioni militari delle brigate dell’Esercito Nazionale presenti nella zona. Ciò significa che, all’intera operazione militare parteciparono circa 120 persone dell’Esercito Nazionale e 60 persone delle due unità paramilitari, per un totale di 180 persone.

Le persone condannate
Il Capitano Gullermo Armando Gordillo, capitano delle 4 unità militari responsabili del massacro, si è dichiarato colpevole e disponibile a collaborare con la giustizia. Il tenente Edgar Garcia Estupinan, il sub-tenente Alejandro Jaramillo Giraldo, il sub-tenente Jorge Humberto Milanese e il sergente Josè Dario Abrango, capi militari delle singole unità, sono stati dichiarati colpevoli. Sono assolti il colonnello Orlando Espinoza Beltran, comandante del battaglione e il maggiore Josè Fernando Castano. Tutte le altre persone coinvolte nel massacro sono, ancor oggi, in attesa di giudizio. Riguardo ai paramilitari coinvolti nell’operazione militare sono state condannate solo 18 persone (su 60) le quali appellandosi alle legge di Justicia y Paz hanno potuto scontare una pena minima di soli otto anni. Nel 2014 saranno già decorsi gli otto anni di carcere previsti per i condannati e la maggior parte dei paramilitari che ha usufruito della legge di Justicia y Paz sarà rimessa in libertà.

Obbiettivo finale dell’intero processo
Ad oggi sono stati condannati per i reati commessi solo ufficiali e sotto-ufficiali, mentre sono rimasti impuniti i capi al vertice dell'operazione militare e paramilitare.
L’ultimo obbiettivo delle indagini e dell’intero processo sarà dimostrare la responsabilità del Presidente Alvaro Uribe Velez, del Vicepresidente della Repubblica e del comandante della Forza militare dell’Esercito nei massacri avvenuti il 21 febbraio del 2005 nell’area dellaResbalosa e di Mulatos.


(1) Jorge Molano è l’avvocato che sta seguendo le indagini sul processo in corso, a carico non della Comunidad de Paz ma di Gloria Quartas, sindaco di Apartadò durante le stragi del febbraio 2005. Quest’ultima ha deciso di denunciare le violazioni compiute sulla popolazione civile assumendo la figura di Actor Popular all’interno del processo. Secondo tale figura giuridica chiunque può considerarsi parte lesa per la violazione di un diritto fondamentale subito da terzi e avviare una procedimento legale. 
(2) La vereda la Resbalosa e la vereda Mulatos sono due frazioni del comune di Apartadò. La maggior parte delle terre di queste due frazioni sono di proprietà della Comunità. 
(3) La Brigata XII è un’unità dell’Esercito Colombiano con il compito di controllare alcune aree della regione di Antioquia e di Cordoba ivi comprese le aree della la Comunidad de Paz. La base operativa di tale unità militare risiede a San Josè de Apartadò.
(4) Dipartimento amministrativo di sicurezza (DAS). Attualmente tale istituto è stato sostituito dall’Ufficio Immigrazioni a causa di uno scandalo avvenuto nel 2010, nel quale molti funzionari del DAS erano stati accusati di essere corrotti e di aver favorito le organizzazioni illegali con informazioni segrete su politici e magistrati dello Stato.

mercoledì 1 maggio 2013

I líderes massacrati nel 2005 erano tenuti sotto controllo da militari e dal DAS.


Domani il General Luis Alfonso Zapata, sarà interrogato nel processo contro membri dell'esercito per la sua partecipazione nel massacro di 8 persone della Comunità di Pace di San José de Apartadò, il 21 febbraio del 2005.

Alcuni testimoni lo accusano di aver autorizzato l'operazione che si è conclusa con il massacro.

Oltre che per questa accusa il Generale dovrà rispondere di un manuale che è stato consegnato alla Corte penale internazionale.
In questo manuale si evidenzia come vari leader (inclusi quelli uccisi a San Jose) venivano tenuti sotto controllo da militari e dal DAS.

Un manuale di persecuzione contro la Comunità di Pace di San José de Apartadò, Colombia dal quale si rileva che alla data di febbraio 2002, nella sua parte introduttiva, si avverte che "noi come militari abbiamo l'obbligo di conoscerlo, per sapere come comportarci con queste comunità nell'ambito della guerra politica".

Questo lavoro è stato fatto congiuntamente con il DAS, che consegnò un monitoraggio su Luis Eduardo Guerra 12 giorni prima del suo assassinio a Mulatos ( vereda de la Comunidad de Paz de San José de Apartadò).
Secondo quanto emerge dal manuale anche le ONG e associazioni internazionali che accompagnano la Comunità di Pace sono state messe sotto controllo.

PER SAPERNE DI PIU' : http://www.eltiempo.com/justicia/ARTICULO-WEB-NEW_NOTA_INTERIOR-12766721.html

http://www.eltiempo.com/justicia/militares-involucrados-en-masacre-de-san-jose-de-apartado_12746798-4

sabato 8 settembre 2012

Ci dicono che domani vengono e ci ammazzano e noi rispondiamo che domani andiamo a lavorare e rimaniamo vivi


 Ci dicono che domani vengono e ci ammazzano 
e noi rispondiamo che domani andiamo a lavorare e rimaniamo vivi
 PACE, GIUSTIZIA e DIGNITA' 
per la
Comunità di Pace
di San Josè Apartadò

AIgruppo208 
Da alcuni mesi la situazione della Comunità di Pace di SJosè Apartadò diventa sempre più drammatica: Gli uomini , le donne , i bambini e gli anziani, che hanno coraggiosamente sfidato la pervesa logica della guerra colombiana con l'unica scelta possibile : la resistenza nonviolenta e quindi la pace , sono in pericolo. 

Non bastava l'arrivo di moltissimi paramilitari nel territorio della Comunità, ora si è aggiunta anche la polizia che , probabilmente, sta compiendo l'ultimo passo prima del massacro. I comunicati , unica " arma" della Comunità per far sapere al mondo ciò che quotidianamente vivono, sono sempre più allarmanti . 

C'è un preciso piano di distruzione e morte, ci sono liste di persone da eliminare; tutto questo alla vigilia delle " trattative di pace". Jesus Emilio , che abbiamo conosciuto e che tutte e tutti ricordiamo come nostro maestro di vita è tra i primi di quella lista di morte. 

Per questo chiediamo a tutti coloro che si indignano contro le ingiustizie e che lottano per un mondo di pace a seguirci attraverso questo blog, a parlare e far conoscere la Comunità di pace e a mantenere viva l'attenzione su ciò che avviene colà.
Una sola cosa chiedono e ce lo ripetono sempre: " LASCIATECI VIVERE"
Non lasciamoli soli!!!!......
AI gruppo 208
per saperne di più ecco le ultime notiziehttp://cdpsanjose.org/?q=node/242

venerdì 22 giugno 2012

Colombia: abitanti di La Esperanza e volontari italiani circondati da gruppi armati

Rimini, 21 giugno  2012

COMUNICATO STAMPA

Alcuni volontari di Operazione Colomba, Corpo Nonviolento di Pace dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, manifestano la loro estrema preoccupazione per il radunarsi di numerosi individui armati, appartenenti a gruppi criminali (definiti BACRIM), vicino al piccolo villaggio di La Esperanza, luogo in cui si trovano attualmente i volontari stessi.

Operazione Colomba da oltre 3 anni realizza un progetto nonviolento di accompagnamento della popolazione civile della Comunità di Pace di San José de Apartadò (di cui La Esperanza fa parte), nel nord ovest della Colombia.

Tali gruppi presidiano a rotazione i punti di accesso al villaggio, i principali luoghi di ritrovo (come spazi pubblici e piccole botteghe) e, ancora più preoccupante, bivaccano nei pressi delle abitazioni civili, facendovi irruzione, richiedendo informazioni relative a luoghi e abitanti della zona e scattando fotografie (a scopo identificativo) alla popolazione locale.

Dal fine settimana scorso (16-17 giugno) continuano ad arrivare copiosi approvvigionamenti alimentari destinati al loro accampamento.
Queste informazioni provengono direttamente dai volontari italiani presenti in loco.

Alcuni individui armati sono entrati nell'abitazione dei volontari chiedendo esplicitamente di "non denunciare alle autorità competenti quanto sta accadendo nell'area".
I volontari hanno prontamente invitato queste persone ad allontanarsi.

In questo momento il rischio non è solo quello che questi gruppi commettano violenze nei confronti degli abitanti di La Esperanza; è fondato anche il rischio che sopraggiungano altri gruppi armati di diverse fazioni e che dello scontro ne paghi le conseguenze soprattutto la popolazione civile locale.
Preoccupante è anche l'assenza della Forza Pubblica, nonostante sia normalmente presente a Nueva Antioquia (2 sole ore di cammino da La Esperanza).

E' deplorevole che la popolazione civile di La Esperanza sia nuovamente coinvolta nel conflitto armato e sia costretta a convivere con questa realtà.


Una situazione simile si sta verificando già dallo scorso mese di novembre nel villaggio di Porvenir (non distante da La Esperanza).

Attualmente i volontari internazionali con la propria presenza disincentivano l'uso della violenza da parte dei gruppi armati nei confronti della popolazione civile e richiedono il tempestivo intervento delle autorità competenti perché questa situazione di pericolo cessi il prima possibile.


Per l'Associazione "Comunità Papa Giovanni XXIII"
Il Responsabile Generale
Giovanni Ramonda

Per info:
Marco Ghisoni
Cell. 348.1926645
Coordinatore Operazione Colomba per la Colombia

martedì 19 giugno 2012

Presenza paramilitare a La Esperanza

Ci giunge notizia che nel territorio di LA ESPERANZA si vedono paramilitari in continuo movimento e che si stanno radunando a decine nella zona.
Anche ieri ne hanno visti sfilare a gruppi di circa 20 con muli carichi di cibo e attrezzature.

La gente è molto spaventata, teme uno scontro con altre formazioni armate in un area dove vivono molti civili. Intanto gruppi di individui armati (alcuni mascherati) entrano nelle case della zona ed un gruppo numeroso si sarebbe accampato nel campo di calcio della vereda.

Durante il tardo pomeriggio di venerdì 15 giugno,diversi paramilitari, lungo il cammino per La Esperanza, hanno interrogato la gente del posto minacciandoli  di non rivelare a nessuno la loro presenza in quel luogo. 
Tali gruppi presidiano a rotazione i punti di accesso alla vereda, i principali luoghi di ritrovo (come spazi pubblici e piccole botteghe) e, ancora più preoccupante, bivaccano nei pressi delle abitazioni civili, facendovi irruzione e richiedendo informazioni relative a luoghi e abitanti della zona.
Dal fine settimana scorso (16-17 giugno 2012) continuano ad arrivare copiosi approvvigionamenti alimentari destinati al loro accampamento.
In questo momento il rischio non è solo quello che questi gruppi commettano violenze nei confronti degli abitanti de La Esperanza; è fondato anche il rischio che sopraggiungano altri gruppi armati di diverse fazioni e che dello scontro ne paghi come sempre le conseguenze la popolazione civile locale.
Preoccupante è anche l'assenza della Forza Pubblica, nonostante sia normalmente presente in Nueva Antioquia.
E' deplorevole che la popolazione civile de La Esperanza sia nuovamente coinvolta nel conflitto armato e sia costretta a convivere con questa realtà nell'assenza totale dello Stato.
Una situazione simile si sta verificando già dallo scorso mese di novembre nella vereda del Porvenir (distante circa 2 ore di cammino da La Esperanza).

giovedì 3 maggio 2012

Non possiamo rimanere in silenzio

"La strage di San Jose de Apartado" 

Serie TV. Contravía. Prodotto e diretto dal giornalista colombiano Hollman Morris. Racconta il massacro di tre bambini e delle loro famiglie e la  possibile responsabilità di questo massacro da parte dell'esercito e dei paramilitari.

buona visione






lunedì 16 aprile 2012

Cuori e fango

Oggi vi proponiamo una bellissima testimonianza pubblicata da 
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Colombia
...mi viene chiesto perché vorrei tornare...
...in testa tutto, tanto e niente..

Svegliarsi e vedere la signora Maria che ha già la faccia stanca perché per lei il giorno inizia molto prima del mio, ma che ti regala un buon giorno accompagnato da un sorriso "semplice", è il primo appuntamento che accompagnerà la mia giornata.
Preparare un tinto (caffè) per Annibal e vederlo andare nel campo con quella sua camminata vecchia e affannata mi dona la forza e la voglia per poter affrontare gli impegni e i pensieri che mi aspettano.
I bambini che ad ogni ora ti cercano per un saluto, per una caramella, per un abbraccio, per chiedere qualcosa o forse anche solo per un momento di silenziosa compagnia mi aiutano a pensare ad un possibile futuro, perché qui anche la parola futuro è incerta.

Quando poi si presenta Brigida alla porta, con sempre appresso un lavoro tra le mani, i suoi occhi e le sue mani parlano di sofferenza. Parlano di tanto dolore e tanta stanchezza, ma trattengono ancora la forza di parlarne e la voglia di andare avanti. Lei sa tante cose, ha visto tante cose e le dona tutte. Non smette mai di condividerle con chiunque abbia voglia di ascoltarla. Che forza... e che gratuità.
L'immancabile appuntamento della partita serale a domino, che dietro a piccole fiches nasconde  grandi strategie e necessita di tempo per apprendere a giocare bene davvero, mi aiuta a ragionare e a riflettere sulle cose, senza la fretta e la caoticità occidentale che mi porto sempre appresso.
Le partite a calcio con i bambini, i ragazzi e chiunque abbia voglia di correre un pochino dietro ad un pallone, mi riportano sempre alla mente l'ingiustizia quotidiana che questi giocatori scalzi sopportano e alla quale cercano di sopravvivere in modo alternativo.
I bambini nelle veradas più isolate che ti corrono incontro con la sola richiesta di leggere un libro insieme...
Il vecchio Joaquin che dopo un'interminabile giornata di duro lavoro passa da casa per portarci un ricchissimo casco di banane.
Juancho che non smette di ridere di fronte ad un semplicissimo gioco di magia fatto per i bambini.
Juan Gabriel che regala un sorriso che dice più di mille parole.
Gabriel che viene a fare i compiti a casa nostra la sera prima della consegna.
Jesus che, prima di andare a scuola, tutti i giorni si stringe alla cinghia un machete che è quasi più lungo della sua gamba e va a mungere le mucche.
...e tanto, davvero tanto tanto altro ancora...

Scendere in città per un accompagnamento mette addosso quella tensione e quella rabbia palpabile, che mi fanno abbracciare sempre più forte le motivazioni per cui sento questa mia scelta non come esperienza di vita, ma come scelta di vita.
Vedere le mule cariche, sotto la pioggia e con il fango fino alla pancia, mi regala la grinta, la tenacia e la testardaggine per poter pensare che non può essere tutto vano; che prima o poi anche la vita qui camminerà in maniera differente nonostante il fango che caratterizza  e “affatica” le strade.
Qui la stagione delle piogge dura molto, ma quando  "picchia" il sole, nemmeno i metri di fango resistono, e seccano al suo calore.
Le ingiustizie, le impunità, la violenza e la sofferenza sono sempre presenti nella vita di queste persone, ma il loro cuore è più forte.
E' la voglia che il cuore prevalga, è l'amore che vorrei imparare da queste persone condividendo con loro tutto quello che mi è concesso.
Questa è la pace che ho trovato qui, a San Josesito.
I cuori di tutti quelli che entrano nella nostra casa o che passano anche solo di sfuggita e con fretta. Senza i loro cuori non ci sarebbe la pace nemmeno in questa comunità.
Desidero tornare per poter condividere, imparare, donare e ricevere l'amore che il cuore di questa gente mi mette delicatamente, silenziosamente e gratuitamente davanti agli occhi.


Perché qui  le persone povere di averi, mi stanno aprendo e allargando il cuore.
Perché mi regalano essenzialità di cui spesso pecco.
Perché ho ricevuto tanti doni in solo tre mesi, e tanti ne vorrei restituire nei miei prossimi viaggi.
Clara
Articolo precedentemente pubblicato sul sito: