Semi di luce di Brigida Gonzales


Friday 21 January 2011

Nella nostra casa arriva Brigida, con i suoi gomitoli. Lavora e si racconta. 
Racconta la sua vita con la stessa naturalezza e spontaneità con la quale tesse le sue borse. 
Anche lei, come altri membri della Comunità di Pace di San Josè di Apartadò, parla della sua lotta per la 
giustizia e per la verità. 
Vi lasciamo alle sue parole, che non smettono mai di commuoverci e farci riflettere:
“Sappiamo che possiamo morire anche ora. 
Questa è la nostra lotta. Lasciate in pace i miei figli, io ormai sono vecchia,  ma loro no.
Devo ringraziare gli internazionali, perché è anche grazie a loro che possiamo continuare la nostra lotta.

Perché non ci lasciano vivere in pace? 
Al governo stiamo solo chiedendo il diritto alla vita, non stiamo chiedendo denaro. Perché continuano a disturbarci? Perché il governo manifesta tutto questo odio verso la comunità?
Per il governo siamo una pietra nella scarpa, abbiamo lavorato affinché le nostre cause e i crimini 
perpetrati  fossero portati davanti ad una Corte Internazionale. 
Ci vedono come un pericolo, ci pensano armati.
Ma noi armati non lo siamo, semplicemente il governo non vuole che la nostra comunità esista.
È anche per questo che vengono fatti montaggi e veniamo accusati di essere membri della guerriglia.
Ma la nostra forza è l'unità, forse si potrebbe dire che siamo comunisti, però questo non è male, 
tutto dipende dall'interpretazione delle parole.

In questo paese la giustizia non è imparziale, e così noi abbiamo tagliato tutti i rapporti con essa. 
Non c'è mai stata chiarezza nei confronti dei fatti del 2005, e da li in poi la rottura con lo Stato è 
stata definitiva. 
Loro affermano che noi siamo uno “statino” dentro uno Stato, ma noi siamo una comunità dentro 
uno stato repressivo.
Abbiamo un principio che ci guida, che ci aiuta a continuare nella nostra lotta, il principio della 
trasparenza 
dei fatti. 
Seminiamo semi di luce e speranza per dimostrare che la guerra non è l'uscita, ma la pace è ciò 
che serve per vivere un mondo migliore.

Il conflitto è un mercato enorme per tutti, se la guerra finisce a chi venderanno le armi i paesi che
 le producono? Quindi al governo colombiano conviene continuarla. Nel nostro paese questa guerra 
ha un nome, si chiama: risorse naturali e risorse minerarie di grandissimo interesse a livello 
internazionale. 
Noi membri della Comunità non siamo persone intellettuali, ma siamo persone che hanno vissuto la 
violenza, siamo in grado di insegnare molte cose ai nostri figli. Abbiamo professori che vengono 
scelti all'interno della Comunità, anche se il governo pensa 
che un campesinos non sia capace di istruire se non tramite i programmi ministeriali.

Io sono analfabeta, ma sento la forza di esprimere ciò che è giusto o ciò che non lo è. 
Ho la coscienza che abbiamo un governo che lucra nel suo sistema medesimo e non lotta per la vita,
 per il cibo, 
per le abitazioni. E non si può incolpare nessuno se esprime quello che pensa.
Abbiamo un governo che parla di costituzione che però viola apertamente.

La nostra comunità è una lotta di costruzione di vita, è una luce di speranza per tutta la Colombia.  
Ma è per questo che ci accusano di essere guerriglieri, miliziani e che stanno creando tutti questi montaggi. 
A seguito dei quali temo si possa ritornare a un periodo di massacri e violenze diffuse. 
È necessario cambiare questo sistema. Non si può perdere la memoria perché se si perde questa, 
si perde tutto. Se la comunità dovesse sparire, speriamo che questa morte sia in grado di generare vita, 
che dalla morte di una realtà ne possono nascere altre. 
Quando morì Louis Eduardo Guerra, la tristezza era in tutti noi. 
Ancora non mi sono abituata alla sua morte.
Quando il 28 marzo 2005 la forza pubblica arrivò a San Josè, venne proposto di spostarsi qui, dove adesso viviamo. 
E fu proprio la sua morte a darci la forza di rifiutare la presenza dell'esercito e di spostarci a San Josesito.

Se ammazzeranno membri della comunità, questa non morirà. 
Continuerà con la forza che da sempre la tiene viva.
Speriamo che un giorno lo Stato colombiano venga denunciato per crimini contro l'umanità anche se  
sicuramente noi non lo potremo vedere.

Il paramilitarismo, infatti, fa parte della stessa struttura di governo. 
I paramilitari e i militari lavorano insieme. Il governo di Uribe e quello di Santos sono uguali, 
non c'è stato nessun cambio.  
È tutto molto duro e difficile ma ciò che dall'alto si sta facendo è abituare la gente che questa sia la normalità. 
I paramilitari fanno il gioco sporco e i militari se ne lavano le mani.

È preferibile morire assassinati così, ma morire con dignità.


articolo originariamente pubblicato su: Operazione Colomba